Prima i tempi lunghi per arrivare all'aggiudicazione della gara, adesso l'incertezza e il protrarsi delle scadenze. L'Ilva, il colosso italiano dell'acciaio, vive una nuova fase. Non meno problematica della prima. E continua a tirare avanti tra scarsa liquidità di cassa, parte del personale in cassa integrazione e produzione al di sotto delle potenzialità degli impianti.
Appartenuta prima ai Riva, che si dimisero dalla linea di comando del gruppo quando il gip di Taranto sequestrò loro, nella primavera del 2013, 8 miliardi, calcolando in questa cifra il costo della bonifica che gli industriali lombardi avrebbero dovuto fare a Taranto, l'Ilva è ormai da cinque anni affidata alla gestione dei commissari di Stato. Cinque anni di cui gli ultimi tre sono di amministrazione straordinaria. Quest'ultima decisa dal Tribunale di Milano a causa dell'insolvenza che ha travolto il gruppo siderurgico.
Dopo una lunga istruttoria, a giugno scorso c'e' stata una prima stretta, con l'aggiudicazione degli asset alla cordata formata da Arcelor Mittal e Marcegaglia che hanno battuto la concorrenza di Acciaitalia formata da Jindal, Arvedi, Del Vecchio e Cassa Depositi e Prestiti. Era chiaro che l'aggiudicazione dopo la gara non avrebbe significato automatico e immediato passaggio della fabbrica al nuovo investitore, essenzialmente al big mondiale Mittal. Tutti prefiguravano un percorso che avrebbe dovuto vedere l'accordo sindacale sull'occupazione - sono 14mila i dipendenti dell'Ilva e di questi poco meno di 11mila a Taranto - e il semaforo verde dell'Antitrust europeo trattandosi di un'acquisizione rilevante da parte di un gruppo, Mittal, già grande di suo. E considerando i vari passaggi da fare, si collocava il subentro operativo di Am Investco tra fine 2017 e inizio 2018. In realtà, le cose stanno andando diversamente. Nel senso che a metà marzo non un passaggio è stato superato.
Perché la Ue non ha ancora deciso
L'ultimo rinvio viene da Bruxelles. L'Antitrust prima avrebbe dovuto pronunciarsi a fine marzo, poi c'è stato lo slittamento ad aprile e adesso siamo al 23 maggio. E senza il semaforo verde dell'autorità europea che vigila sulla concorrenza, il closing dell'operazione non può esserci. A quanto pare, Bruxelles ha avanzato nuove osservazioni ad Am Investco, chiedendo correttivi affinché l'operazione non sia dannosa per il mercato, le imprese e la concorrenza. Questo perché l'acciaio è un prodotto che alimenta importanti catene del manifatturiero. Osservazioni alle quali Am Investco ha risposto e che ora sono al vaglio della Ue. Quest'ultima, mesi fa, aveva già chiesto che Mittal dismettesse l'impianto ex Magona di Piombino, in Toscana, e che Marcegaglia uscisse da Am Investco proprio per evitare sul mercato un monopolio derivante dall'alleanza in Ilva del piu' grande produttore mondiale (Mittal) col più grande trasformatore europeo (Marcegaglia). L'unico punto che dovrebbe rassicurare è che, qualora la Ue chiedesse a Mittal ulteriori sacrifici, nessun taglio potrà avvenire nell'Ilva. Questo lo dice il contratto che lo stesso Mittal ha firmato a giugno.
Sospeso anche il confronto con i sindacati
Tutto incerto è anche il confronto sindacale. Si era partiti a luglio. Sembrava che dovesse esserci un negoziato serrato al Mise, Mittal, rispetto all'offerta iniziale, ha fatto un passo avanti nel senso che ha portato a 10mila i lavoratori da assumere da Ilva, ma poi tutto si è arenato. Prima la complessità del negoziato e la necessità, per il sindacato, di vedere chiaro sugli investimenti; poi il nodo irrisolto dei 4 mila esuberi, visto che Mittal resta per ora fermo sull'offerta dei 10mila; poi, ancora, il caso Taranto, col ricorso al Tar contro il decreto sul piano ambientale presentato da Regione Puglia e a Comune di Taranto; infine, l'esito delle elezioni politiche, col venir meno, causa la sconfitta del Pd, di una linea di interlocuzione (i ministri Calenda e De Vincenti e il vice ministro Bellanova) che sino ad alcune settimane fa costituiva un riferimento per i sindacati.
Che tutto sia diventato incerto da questo punto di vista, lo dimostra anche il fatto che i confronti del 9 e 21 marzo al Mise sono stati annullati. È rimasto quello del 29, ma i sindacati temono che alla fine salterà anch'esso. È oltre un mese che Am Investco e sindacati non si incontrano. C'è da riannodare i fili della trattativa, ma è problematico che si possa fare se non c'è un Governo nella pienezza del suo ruolo. Questo perché se l'accordo dovrà essere tra sindacati e Mittal, c'è tuttavia una parte rilevante che dovrà impegnare il Governo: gestione degli esuberi, ammortizzatori sociali, uscite incentivate, eventuali pensionamenti anticipati, interventi di accompagnamento. E di tutto questo, si chiedono i sindacati, chi se ne fa carico?
Forse le cose potrebbero andare meglio per il ricorso al Tar. È vero che il Tar di Lecce il 9 marzo si è dichiarato incompetente ed ha rimesso gli atti al Tar del Lazio, ma prima che trascorrano i 60 giorni per la ripresa della causa, molto probabile che il Comune di Taranto trovi un accordo con le parti e chiuda il contenzioso. Tanto più che il sindaco di Taranto, Melucci, del Pd, ha politicamente abbandonato il governatore Emiliano, insieme al quale aveva mosso "guerra" all'Ilva, e annuncia di voler superare il conflitto. Allo stato, tuttavia, le incertezze sono maggiori rispetto ai punti fermi. E i sindacati si chiedono: ma a fine anno Mittal sarà riuscita a prendere le redini della fabbrica?