Presto i cittadini potranno dotarsi di una pensione volontaria di scorta valida in tutta l’Eurozona da affiancare a quella nazionale già esistente.
Il nome è Pepp, acronimo che sta per “prodotti pensionistici individuali paneuropei” che hanno fatto la loro comparsa nel giugno del 2017 quando la Commissione europea li ha proposti. E ora sono approdati sul tavolo di Europarlamento e Consiglio che dovranno dare il loro via libera. I nuovi strumenti sono rivolti a studenti e lavoratori dipendenti o autonomi. Ma sono davvero necessari?
La pensione di scorta
Secondo un’analisi del Sole24Ore, attualmente circa il 27% dei cittadini europei ha una pensione integrativa volontaria. Un mercato, quello della previdenza privata, che appare però frammentato e discontinuo.
I Pepp potranno essere offerti da banche, assicurazioni, società di gestione, imprese di investimento e anche da fondi pensione occupazionali, andranno ad affiancarsi ai prodotti previdenziali individuali già esistenti, nel nostro Paese potranno fare quindi concorrenza ai fondi pensione aperti e ai Pip, i piani previdenziali assicurativi.
Chi può offrire i Pepp
- banche,
- assicurazioni,
- società di gestione,
- imprese di investimento
- fondi pensione occupazionali
“In tutto si contano 72 strumenti, con un’ampia gamma di fornitori, dove le compagnie di assicurazione vantano la quota maggiore. Il valore degli asset investiti in fondi pensione varia a seconda dei Paesi: la forbice va da oltre il doppio del Pil in Danimarca (dove è in vigore un sistema misto, pubblico e privato), al 6,8% della Germania, passando per il 9,4% dell’Italia” si legge sul Sole. Per Pablo Antolin, responsabile della divisione pensioni private dell’Ocse siamo di fronte a “un fenomeno in crescita quasi ovunque negli ultimi 20 anni e destinato a svilupparsi sempre di più per accumulare un tesoretto complementare”, di pari passo con conti pubblici sempre più in affanno, messi a dura prova dall’invecchiamento della popolazione.
Quanto valgono le nuove misure
A calcolare il possibile impatto delle nuove misure è stato Ernst and Young per conto di Bruxelles (qui è possibile scaricare il rapporto). Se oggi il mercato della previdenza integrativa nella Ue vale circa 700 miliardi, entro il 2030 l’introduzione dei Pepp potrebbe liberare risorse per circa 2.100 miliardi.
Gli addetti ai lavori esprimono apprezzamento per la proposta, ma alzano il velo su alcune questioni che restano aperte. “Il regolamento - dice Antolin - recepisce le linee guide dell’Ocse sul tema. Sul piano pratico occorrerà vedere l’effettiva attuazione e restano ancora da precisare meglio alcuni dettagli, come le modalità di scelta dei fornitori o le garanzie”.
Piacerà agli italiani? “La portabilità - ha spiegato al Sole24Ore Paolo Balduzzi, docente di scienza delle finanze e di Economia pubblica dell’Università Cattolica - è senz’altro uno dei maggiori pregi di questo nuovo strumento. È presto però per dire se la formula sarà destinata a prendere piede, perché in alcuni Paesi, come l’Italia, permane una certa diffidenza nei confronti di questi prodotti. Per favorire la loro diffusione la carta da giocare per garantire una maggiore appetibilità è senz’altro quella degli incentivi fiscali”.
La raccomandazione di Bruxelles
Per favorire la loro adozione, Bruxelles ha accompagnato la proposta di regolamento con una raccomandazione in cui incoraggia gli Stati membri a riservare ai Pepp lo stesso trattamento fiscale concesso ai prodotti nazionali analoghi esistenti.
Secondo un recente studio circa la metà dei paesi Ocse prevede un’esenzione fiscale sui contributi e sui rendimenti. Tra questi Germania, Finlandia, Spagna, Olanda e Gran Bretagna. In altri, come Italia, Danimarca e Svezia, la tassazione riguarda invece i rendimenti e le prestazioni.
Gli Stati membri saranno invitati a scambiare le buone pratiche sulla tassazione dei prodotti pensionistici individuali per favorire la convergenza tra i regimi, con la graduale rimozione di uno dei principali ostacoli alla costruzione di un mercato unico della previdenza complementare in Europa.