Sarà uno degli argomenti più caldi della campagna elettorale. La proposta del centrodestra di introdurre una flat tax al 23% non è una cosa nuovissima.
Fu proprio il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi a parlarne per primo: correva l’anno 1994, ma la riforma fiscale non vide mai la luce.
Oggi questo sistema di tassazione pare la chiave di volta che reggerà la coalizione di centrodestra. Silvio Berlusconi, Matteo Salvini e Giorgia Meloni infatti, seppur con visioni differenti circa i metodi di applicazione della riforma fiscale, concordano sulla sua introduzione. Che costerebbe alle casse dello Stato circa 50 miliardi di euro, ma che per il presidente di Forza Italia indurrà molti a non evadere più le tasse, riequilibrando i conti.
Breve storia della flat tax
Ma cos’è la flat tax? Dall’ inglese possiamo tradurre come tassa piatta, o tassa forfettaria. Si tratta di un sistema fiscale proporzionale basato su un’aliquota, una percentuale, fissa. La proposta del centrodestra è del 23%, per tutti. Quando applicate, generalmente si accompagnano ad alcune eccezioni come quelle per le famiglie con un reddito inferiore a uno stabilito per legge (la famosa no tax area).
In realtà non è un regime fiscale molto applicato. C’è in alcune nazioni ex appartenenti al blocco sovietico, in Polonia, in Lituania e Estonia per esempio, e ovviamente in Russia. Introdotta dopo la dissoluzione dell’impero sovietico, alcuni studi hanno dimostrato che questo sistema di tassazione ha contribuito al rilancio dell’economia.
Pare abbia una storia molto antica. Probabilmente il regime fiscale più antico e longevo, usato già al tempo dei Medici, anche se la sua ideazione viene attribuita generalmente all’economista statunitense Milton Friedman. Il suo abbandono, cominciato sul finire dell’800, fu fatto in nome di una maggiore equità fiscale che ha introdotto la progressività delle tasse sul reddito (aumentano quanto più il reddito è alto).
Chi l'ha proposta in Italia?
Quando Berlusconi la propose nel 1994, lo fece grazie ad un contributo del professor Antonio Martino, allievo proprio Milton Friedman che l’aveva proposta per gli Stati Uniti, con un’aliquota del 33% (più una no-tax area i contribuenti più poveri). Avrebbe dovuto prendere il posto dell’Irpef progressiva.
Successivamente se ne fecero promotori in Italia Marco Pannella dei Radicali (2005) che ne voleva una al 33%, Daniela Santanché (2008) per La Destra che propose una soluzione al 20%, e in anni più recenti Matteo Salvini che ne fa una battaglia politica dal 2014.
Nel giugno del 2017 l’Istituto Bruno Leoni di Torino, con un articolo di Nicola Rossi pubblicato su Il Sole 24 Ore, propone una flat tax con aliquota al 25% per tutti. Che però subito nel suo articolo ammette qual è l’obiezione principale alla proposta: “Tra i Paesi che hanno adottato la flat tax non ce n’è nessuno dei grandi Paesi occidentali”. Difficile quindi immaginare gli effetti su un'economia come quella italiana.
La nuova proposta di Berlusconi: un'aliquota al 23%
La nuova proposta di Berlusconi per il 2018 muove i passi da uno studio commissionato dal Popolo della Libertà nel 2012. Fu affidato alla Fondazione Magna Carta di Roma, che vide la luce in quell’anno con una prefazione di due professori della Stanford University. Si chiama “Una flat tax per l’Italia”, scritto dall’economista Emanuele Canegrati, dove si propone “Una tassa proporzionale al 23%, che può scendere fin sotto la soglia del 20% nel caso di recupero di evasione fiscale e con una detrazione elevata garantita a tutti gli individui e che aumenta all’aumentare del numero di persone a carico, fino a raggiungere per famiglie con oltre 4 figli il livello di 21.000 Euro. Una riforma in grado di far ripartire il motore imprenditoriale italiano e attrarre attenzione da parte di investitori stranieri, che presta una particolare attenzione anche a quelli aspetti demografici, attualmente mortificati da un sistema che penalizza le famiglie. Come viene spiegato con chiarezza dal testo, per l’Italia un nuovo Rinascimento fiscale è davvero possibile”.
L'incubo di pagare le tasse in Italia
Come ricorda il sito Linkiesta, tra tante classifiche economiche che ci vedono agli ultimi posti, “quella che più ci bastona è sul livello di complicazione del sistema fiscale”. Nel 2017 siamo, secondo la Banca Mondiale, al 126esimo posto: subito prima della Repubblica Domenicana e dopo il Kenya; “lontani dal penultimo Paese dell’Unione Europea (la Bulgaria che naviga attorno all’ottantesima posizione)”.
Siamo penalizzati, ricorda il sito, “per il numero esorbitante di adempimenti e per il tempo che dobbiamo spendere a farlo: paghiamo le tasse quattordici volte l’anno e un imprenditore passa, mediamente, 240 ore all’anno con il proprio commercialista". La flat tax è proposta anche in virtù del fatto che la sua introduzione faciliterebbe di molto la situazione in Italia.
Le critiche del centrosinistra: "non è sostenibile"
Al momento sulla sua utilità o dannosità per il sistema Paese si rincorrono diverse teorie. L’attuale ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, la boccia senza appello: “La flat tax proposta dal centrodestra è il tipico prodotto 'bacchetta magica', sembrerebbe che la sua introduzione, indipendentemente dall'aliquota, produca semplificazione e l'abbattimento delle tasse" ma "non è sostenibile. Capisco che dire che si farà la flat tax susciti entusiasmo. Ma ci sono due aspetti da considerare: primo, diteci dove trovate le decine e decine di miliardi che servono a coprire la flat tax. Secondo, diteci come si evita che la flat tax produca un risultato ben noto, cioè quella di essere regressiva, ovvero di avvantaggiare i più ricchi".
Ma in generale tutti i partiti di sinistra, in nome di quella equità fiscale sancita anche nella Costituzione Italiana che prevede all'articolo 53 che il sistema tributario sia informato a criteri di progressività della tassazione con la capacità contributiva del cittadino, sono contrari all’introduzione dell’aliquota unica.