Apple e le altre big della Silicon Valley ci hanno reso schiavi di telefoni e device di ogni tipo e ora hanno la reponsabilità di aiutarci a monitorare e gestire queste dipendenze (device addiction), fornendoci strumenti adeguati. Questo il senso delle parole, espresse lunedì in un tweetstorm di 10 tweet, da Tony Fadell, nel team che ha lavorato al primo iPhone e uno dei principali inventori dell'iPod (ha anche fondato Nest, venduta poi a Google per 3,2 miliardi di dollari).
La presa di posizione di Tony Fadell arriva poche ore dopo la lettera alla società di Cupertino di due investitori di Apple che hanno chiesto proprio ad Apple di studiare gli effetti dannosi dell'uso eccessivo dell'iPhone sui bambini, di contrastare la dipendenza da dispositivi, sostenendo anche loro che tutte le aziende della Silicon Valley devono assumersi questa responsabilità (Apple non ha ancora rilasciato dichiarazioni a proposito).
Per Fadell "Device addiction is real", una dipendenza che causa la morte alla guida di 9 persone ogni giorno e 1000 feriti. Cita inoltre le statistiche di Time To Log Off (movimento per il digital detox) secondo le quali nel Regno Unito gli adulti trascorrono 8 ore su schermi (6,5 i bambini) e che il 34% delle persone delle persone ha controllato Facebook negli ultimi 10 minuti.
Fra l'altro c'è un crescente numero di ricerche che mettono in connessione l'uso eccessivo di telefoni e social media e la depressione, i problemi comportamentali o altri problemi di salute nei bambini.
Fadell ha anche detto che non sono solo i bambini a doversi difendere dalla device addiction, ma che anche gli adulti hanno bisogno di aiuto. Fadell si unisce a un crescente gruppo di dirigenti della Silicon Valley che ha mosso critiche ai propri ex datori di lavoro. Justin Rosenstein, ad esempio, è un ex dirigente di Facebook che ha il merito di aver creato il pulsante "mi piace".
In un'intervista a The Guardian ha parlato dei like come "brillanti ammiccamenti di pseudo-piacere". Un altro ex dirigente di Facebook, Chamath Palihapitiya, ha detto di aver sentito "un tremendo senso di colpa" per il suo ruolo nello sviluppo del social network, anche se in seguito ha corretto alcuni dei suoi commenti.