La Borsalino, storica azienda alessandrina di cappelli, ha dichiarato fallimento. Il tribunale infatti ha respinto la richiesta di concordato della Haeres Equita srl, società dell'imprenditore svizzero Philippe Camperio, che gestisce l'azienda dopo l'affitto del ramo. A renderlo noto i sindacati, che nel pomeriggio di lunedì 18 dicembre incontreranno i curatori, Stefano Ambrosini e Paola Barisone, e i lavoratori.
Con la fine dell'azienda, diventata un'icona di stile italiano nel mondo, è forse utile ricordare la sua storia. L'ascesa, i modelli, la nascita dei problemi.
"Creiamo lo stile delle nuove generazioni"
"In passato creammo generazioni di stile. Oggi creiamo lo stile delle nuove generazioni". Alla Borsalino si usava dire così da 160 anni. Perché il cappello di feltro di Alain Delon e Al Capone è da sempre un'icona di stile. Un pezzo di Italia che ha letteralmente fatto la storia della moda e del cinema nel mondo. Ora la celebre fabbrica fondata da "u siur Pipen" nel 1857 oggi ha chiuso. Ma che cosa è successo alla Borsalino?
Un documentario di Enrica Viola al Torino Film Festival 2015 (Festa mobile). Storia di un cappello divenuto icona del cinema
Il cappello sulla testa del finanziere d'assalto
Come spiegava nel 2015 Piero Bottino per la Stampa, l'azienda di cappelli è stata la plastica rappresentazione di come "una finanza d’assalto possa influenzare un’industria sana e profittevole". All’origine dei suoi guai c’è appunto un finanziere, l’astigiano Marco Marenco, 61 anni, ex "re del gas" imputato per la maxi bancarotta fraudolenta delle sue società, con danni complessivi per oltre 3 miliardi di euro per debiti non pagati con le banche e imposte e accise non versate all’Erario. Il maggiore crac in Italia dopo quello della Parmalat.
Marenco, a detta degli investigatori, era un genio della matematica finanziaria. Ma per uno sfizio aveva deciso di acquistare anche il marchio di Alessandria, diversificando il suo castello di società dell'energia con un gioiellino della moda. Quando il crac viene alla luce, fra le quote di undici società a lui riconducibili e messe sotto sequestro c’è anche il 50,45% della Borsalino. Senza contare che il 17,47% del cappellificio è della Finind, altra società 'marenchiana' commissariata per bancarotta.
Il concordato preventivo
Il Cda della Borsalino (composto da Marco Moccia, Francesco Canepa, Raffaele Grimaldi) deve pagare i dipendenti e almeno in parte i fornitori. E decide di chiedere al tribunale di Alessandria il concordato preventivo, una procedura concorsuale a cui può ricorrere un debitore che si trovi in uno stato di crisi o di insolvenza. Si tratta di uno strumento giuridico che ha come obiettivo proprio quello di evitare la dichiarazione di fallimento attraverso un accordo destinato a portare a una soddisfazione anche parziale dei creditori. Il termine “preventivo” deriva proprio da questa funzione: prevenire la più grave procedura fallimentare. Chi sceglie il concordato preventivo vuole arrivare a un risanamento o, comunque, intende proseguire l'attività dell'impresa.
Il 'cavaliere bianco' italo-svizzero
Per Borsalino il futuro non si prospetta roseo. Finché, come nelle migliori favole, arriva un 'cavaliere bianco': Philippe Camperio, imprenditore italo-svizzero che, alla guida di un 'collective' di investitori, decide di lanciarsi nell'impresa di salvataggio. La sua cordata viene scelta in seguito a una gara internazionale poiché appare la più adeguata a dare garanzie di continuità e subentra nel maggio 2015. Camperio affitta un ramo dell'azienda attraverso il fondo Haeres Equita e, al termine dell'iter previsto dalla legge, è destinato ad assumere il pieno controllo della Borsalino.
L'alt del tribunale - Nel frattempo il cappellificio continua a macinare e le vendite non registrano contraccolpi. Anzi, le sventure finanziarie sembrano in qualche modo aver portato pubblicità. A ottobre l'azienda lancia il progetto itinerante del cappello su misura nelle diverse boutique del marchio. Finché arriva - come una doccia fredda - l'alt del tribunale di Alessandria per sospetti giri di capitali fino al 2012-2013 con società del bancarottiere Marenco.
Borsalino, un'icona di stile
Star di Hollywood e gangster, tutti pazzi per il feltro - I cappelli non sono tutti uguali. Un borsalino è per sempre. Al Capone e Humphrey Bogart, Alain Delon e Jean-Paul Belmondo (nel film Borsalino), Federico Fellini e Francois Mitterand, John Belushi e Michael Jackson: i buoni e cattivi che lo hanno indossato praticamente non si contano. Robert Redford addirittura scrisse una lettera a un ererde della famiglia Borsalino per avere il copricapo che indossava Mastroianni in "8 e 1/2": "Dear Vittorio, you may remember me…my name is Robert Redford”.
Il 'borsalino' è finito persino nel dizionario Treccani: "marchio registrato di un cappello floscio di feltro, per uomo, con cupola a tronco di cono e tesa di media larghezza, prodotto dalla fabbrica Borsalino".
'Siur Pipen' ruba il segreto della bombetta perfetta
Giuseppe Borsalino, "u siur Pipen", classe 1834, forse non si aspettava tutto questo. Ma per avere la qualifica di Maestro Cappellaio aveva lavorato per lunghi 7 anni nel cappellificio Berteil in Rue du Temple a Parigi. Poi era tornato e aveva aperto il suo primo laboratorio in un cortile di via Schiavina ad Alessandria insieme al fratello Lazzaro. Ma non bastava.
Siur Pipen guardava all'estero, soprattutto all'Inghilterra: Denton, Stockport, Manchester, con quelle diavolo di macchine che avevano rivoluzionato il mestiere dei cappellai. Nel 1897 il maestro visita la fabbrica di Battersby a Londra. Qui "senza farsi vedere intinge il suo fazzoletto nella vasca della 'catramatura' e porta così in Italia il segreto inglese per la fabbricazione delle perfette bombette. La leggenda dice così. La storia ha fatto il resto.
Fino ad oggi - come informa il sito web dell'azienda - la Borsalino aveva dieci punti vendita monomarca di proprietà in Italia e uno a Parigi, oltre ad essere presente nelle boutique e negli stores di tutto il mondo: da Saks Fifth Avenue a Harrod's, da Galeries Lafayette a Printemps.
Sfioccatura, soffiatura, imbastitura, pre-follatura, visitaggio, bagnaggio, follatura, assemblaggio, tintura, sbridaggio, apprettatura, informatura, pomiciatura, informatura di seconda, visitaggio, bridaggio e finissaggio: cinquanta passaggi produttivi e una media di sette settimane di lavoro per ogni copricapo. Un processo rigoroso tramandato di generazione in generazione dove si alternano macchine e mano dell'artigiano.
Probabilmente tutto questo con il fallimento di oggi è arrivato alla fine, chiudendo un'epoca.