Una nuova accusa si abbatte su Uber, l'azienda americana di trasporto con conducente alla quale viene ormai imputato qualsiasi tipo di colpa. Dalla crisi dei taxi alle insidie che costituirebbe per il mercato del lavoro, passando per il sostegno a Paesi dove non viene garantita la parità tra uomo e donna, fino alla crisi del mercato dei sedili di pelle. Nientemeno.
Il 3 ottobre la società americana Gst AutoLeather, leader nella produzione di sedili in pelle che annovera tra i suoi clienti marchi quali Chrysler, Ford, Volkswagen e Porsche, ha dato inizio alla procedura di ristrutturazione prevista dalla legge statunitense sotto il Capitolo 11, in modo da scongiurare il rischio di bancarotta. Nel rapporto preparato dal consulente per la ristrutturazione della Gst, Jonathan Hickman, si legge che “l’aumento della popolarità di servizi di ride-sharing, come Uber e Lyft, abbassa le esigenze dei clienti per le loro auto”.
Un'accusa poco convincente
La ditta, sulla quale grava il peso di un debito da 196 milioni di dollari, giustifica così parte delle difficoltà in cui versa. Ma l’accusa non sembra particolarmente convincente, dal momento che le società di car-sharing come Uber sembrerebbero favorire un’espansione del mercato di nuovi veicoli anziché minacciarlo. Le società di car-sharing generano un arricchimento del mercato in favore dell’acquisto di auto nuove, che possono essere utilizzate per un impiego da autisti part-time, come spiega Bloomberg. Dall’altra le auto utilizzate per il car-sharing, esattamente come i taxi, sono più facilmente soggette a invecchiamento, quindi più suscettibili di essere rimpiazzate.