Il Club Ambrosetti ha fatto i conti cercando di capire quanto la rivoluzione industriale in atto, la quarta, quella dei robot, potrà minacciare i posti di lavoro finora occupati dagli uomini. La domanda delle domande, quella alla quale da diversi anni oramai si cerca di rispondere. “Tutto dipende da come si affronta il cambiamento” scrive oggi La Stampa citando i dati raccolti dal Club Ambrosetti nel report. “Per il mercato del lavoro italiano non sarà una passeggiata: nei prossimi 15 anni verranno meno più di tre milioni di occupati nei settori tradizionali, fino a 4,3 nello scenario più pessimista. Ma è possibile crearne altrettanti in quelli innovativi”.
Cosa ci insegnano l’industria dell’auto, e Amazon
Partiamo dalla manifattura e dal commercio: “Perderanno rispettivamente 840 mila e 600 mila unità”, scrive l’inviato a Cernobbio. “Nel giro di quindici anni le attività immobiliari - che oggi impiegano più di due milioni e mezzo di italiani - perderanno trecentomila addetti, agricoltura e pesca più di duecentomila”. E la perdita dell’occupazione sarà rapida: “130 mila all’anno nei primi cinque, 290 mila negli ultimi cinque”. E i rischi maggiori saranno per le nuove generazioni. “Il rischio di sostituzione è del 20 per cento per i lavoratori fra i 20 e i 24 anni, del 16 per cento fra i 25 e i 29, del 13 per cento fra i 60 e i 64 anni”.
E' possibile evitare che i robot ci rubino il lavoro?
“Secondo la ricerca sarebbe sufficiente mettere in campo iniziative capaci di creare 42 mila posti all’anno nei prossimi cinque”, scrive La Stampa. Occorre però puntare sui settori che oggi impiegano più di ogni altro: “alta tecnologia, scienze della vita, ricerca di base”. Lo studio quindi racconta che per ogni nuovo posto in un settore avanzato se ne creano altri 2,1 nell’indotto: quarantamila posti l’anno nei settori chiave sono tre milioni di occupati in 15 anni.
L’importanza di un titolo di studio adeguato
Quello che emerge è abbastanza scontato: in futuro più le qualifiche acquisite saranno basse, più sarà alta la possibilità di restare disoccupati. “Chi ha in tasca una specializzazione universitaria ha appena l’un per cento di probabilità di perdere il posto; al contrario, per chi non ha almeno una laurea il rischio sale al 17 per cento: si tratta di 17 milioni di italiani” si dice nel report.
Di chi è il futuro del lavoro?
“Il futuro”, scrive il quotidiano, “è per chi svolge mansioni complesse, con una forte componente intellettuale e non facilmente sostituibili dalle macchine. I settori che rischiano meno sono i servizi per la salute e la comunicazione. Il futuro del lavoro è nelle qualità umane, quelle che le macchine non potranno mai sostituire: creatività, innovazione, capacità di relazione.
La credenza che i robot rubino il lavoro, è appunto una credenza
“Non è vero per niente che il destino delle società avanzate sia segnato”, scrive oggi Luca Ricolfi nel suo primo editoriale per Il Mattino: “La credenza che automazione e intelligenza artificiale distrugga più posti di lavori di quanti ne creino è per l’appunto una credenza, non una legge generale dell’economia”.
Cosa lo dimostra? Secondo Ricolfi la paura italiana è data da un punto di vista particolare, quella di un Paese che ha sì perso posti di lavoro, ma non a causa dei robot. “Diego anni di instabilità economica e di spettacolari progressi tecnologici non hanno impedito a 21 Paesi avanzati su 35 di aumentare i propri tassi di occupazione, spesso già molto elevati nel 2007.