Alitalia sarà commissariata. Lo ha annunciato il Consiglio di amministrazione dopo che i lavoratori hanno bocciato il verbale d'intesa sul piano industriale raggiunto da sindacati e azienda il 14 aprile scorso e sottoposto a referendum. Su un totale di 10.101 votanti, i No sono stati 6.816, pari a oltre il 67%, e i Sì 3.206. Il presidente dell'Enac, Vito RIggio, ha già ricevuto dal presidente, Luca Cordero di Montezemolo, la notifica dell'avvio della procedura per la nomina del commissario. Il governo manifesta "sconcerto" e assicura: nessuna nazionalizzazione. Si va verso un negoziato con la Ue per la richiesta di un prestito ponte.
Le reazioni dei sindacati
Filt-Cgil, Fit-Cisl, UilTrasporti e Ugl Trasporto aereo parlano di una "votazione sofferta", decisa "contro un'azienda che poco ha fatto finora per risollevare le proprie sorti". "Attendiamo le valutazioni e le decisioni degli azionisti e del governo - scrivono i sindacati in una nota congiunta - nella consapevolezza di cercare sino all'ultimo ogni soluzione possibile per evitare decisioni che sarebbero traumatiche e non più modificabili".Secondo Antonio Piras, segretario generale della Fit-Cisl, ha prevalso "la rabbia dei lavoratori sulla razionale valutazione. Una rabbia motivata dal comportamento del management che ha irresponsabilmente portato l'azienda alle attuali condizioni ed esasperato i lavoratori".
Etihad: "Una sconfitta per tutti"
"Ci rammarichiamo profondamente per il risultato del voto, che significa una sconfitta per tutti: i dipendenti di Alitalia, i suoi clienti, i suoi azionisti e lo stesso Paese, di cui Alitalia è ambasciatore in tutto il mondo", afferma invece James Hogan, presidente e ad di Etihad, la compagnia emiratina che aveva rilevato il 49% del gruppo. Hogan ha definito "deludente" il risultato del referendum.
Cosa vuole il fronte del No
L'Usb, schierata subito per il No, chiede la riapertura immediata della trattativa, sostenendo che "l'alternativa al commissariamento minacciato dal governo e dall'azienda esiste ed è rappresentata dall'intervento diretto dello stato, sino alla nazionalizzazione". Un'ipotesi però, sempre scartata dall'esecutivo.
Perché ha vinto il No
La richiesta dei lavoratori con il No al referendum è di non pagare ancora una volta le difficoltà finanziarie della compagnia. Il verbale di intesa prevedeva:
- 980 esuberi (contro i 1.338 chiesti inizialmente dall'azienda)
- una riduzione della retribuzione del personale navigante dell'8% (contro il 24-30%),
- interventi su altre voci della busta paga, sui riposti e sulla dimensione degli equipaggi di volo.
Gli azionisti da parte loro mettevano sul tavolo una ripatrimonializzazione di 2 miliardi.
Cosa succede ora
Il Consiglio di amministrazione della compagnia, riunito "per una valutazione sull'esito negativo della consultazione referendaria", potrebbe a questo punto deliberare la richiesta di amministrazione straordinaria speciale. In tal caso il ministero dovrà procedere con la nomina di uno o più commissari, il cui compito è predisporre un nuovo piano industriale, trovando eventualmente un acquirente o nuovi investitori. In caso contrario il commissario non avrebbe altra scelta che chiedere il fallimento, facendo scattare così la procedura di liquidazione.
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Il punto di partenza di ogni ipotesi è un dato da cui non si può prescindere: all’Alitalia vengono a mancare 950 milioni, che sarebbero entrati in cassa come conseguenza del piano di risanamento.
Secondo quanto ricostruisce il Corriere.it, la prima emergenza è la liquidità. Tutti i fornitori chiederanno di essere pagati per cassa e, secondo alcuni osservatori, Alitalia rischia di non arrivare a metà maggio.
Cosa può e non può fare lo Stato
L’unica ipotesi sarebbe un intervento del governo anche se questo rischia di configurarsi come un aiuto di Stato agli occhi dell’Unione europea. Sembra esclusa, invece, l’ipotesi che sia Invitalia, che si era già impegnata a garantire un cuscinetto finanziario fino a 300 milioni, a trasformarli in cash.
Ecco lo scenario più verosimile:
- Viene chiesta l’amministrazione straordinaria speciale.
- Contestualmente il governo prepara gli strumenti normativi per fornire ad Alitalia la liquidità che consentirà al commissario di portare la compagnia alla vendita.
- Improbabile che gli aerei restino a terra: si tratta di un’emergenza che riguarda un’azienda che svolge un servizio pubblico essenziale perché garantisce la continuità territoriale
- Il ministero dello Sviluppo procede alla nomina dei commissari, che possono essere uno o tre.
- I commissari elaborano un piano industriale da sottoporre al governo e ai creditori e che può prevedere:
- la cessione unitaria dell’azienda ad acquirenti terzi che sono obbligati a tenere tutti i lavoratori per due anni (salvo diversa pattuizione con l’acquirente)
- mantenere la società nell’assetto attuale, cercare un finanziamento di terzi ed elabora un piano industriale rinnovato per raggiungere il riequilibrio finanziario e conservare l’impresa.
Il ‘caso Parmalat’ che non può ripetersi
Quest’ultima ipotesi si è realizzata per Parmalat, ma è uno scenario già escluso per Alitalia: l’ex compagnia di bandiera fornisce servizi, il core business dell’azienda del latte era industriale.
Lo scenario della cessione per parti
Un’azienda che svolge un servizio pubblico essenziale può anche cedere alcuni contratti o complessi aziendali purché sia garantito il massimo grado di soddisfazione dei creditori. Al di là della soluzione, uno dei nodi della vendita sarà il costo del personale. E se il commissario non riuscirà a trovare un’acquirente — c’è chi spera che Lufthansa si faccia avanti — non gli resterà che chiedere il fallimento. La procedura liquidatoria prevede due anni di cassa integrazione e Naspi per i lavoratori e poi la disoccupazione, gli asset ceduti a pezzi.
Lo "sconcerto" del governo
I partiti prendono posizione: il M5S chiede che l'esecutivo individui un valido Commissario che conosca a fondo l'Azienda e sappia ridarle slancio mentre Sinistra Italiana vuole che lo Stato entri nel capitale.
"Rammarico e sconcerto per l'esito del referendum Alitalia che mette a rischio il piano di ricapitalizzazione della compagnia" hanno dichiarato in un comunicato congiunto il ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda, il ministro delle Infrastrutture e Trasporti Graziano Delrio ed il ministro del Lavoro Giuliano Poletti: "A questo punto l'obiettivo del Governo, in attesa di capire cosa decideranno gli attuali soci di Alitalia, sarà quello di ridurre al minimo i costi per i cittadini italiani e per i viaggiatori".
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Calenda e Poletti: no alla nazionalizzazione
Il ministro dello Sviluppo Economico, in un'intervista al Tg3, ha assicurato che la compagnia non verrà nazionalizzata: "I cittadini italiani hanno già messo circa 7 miliardi e 400 milioni sui vari progetti di salvataggio, credo sia sufficiente. La soluzione è mettere altri miliardi di euro pubblici e mantenere un'azienda in perdita? Credo che questo non sia percorribile. Credo che i cittadini non lo vogliano e a ragione". La nazionalizzazione "è esclusa" anche per Poletti: "Quello che potevamo fare, lo abbiamo cercato di fare, intanto bisogna prendere atto delle decisioni degli azionisti".
L'ipotesi del prestito ponte
Per gestire l'emergenza immediata, il governo appare orientato a negoziare con la Ue un prestito ponte "transitorio, per un orizzonte di sei mesi, a condizioni molto precise", ha aggiunto Calenda che assicura: entro sei mesi vendita o liquidazione. "Se ci saranno aziende interessate a rilevarla è tutto da vedere", avverte il ministro.