Roma - Mercati al ribasso con prezzi quasi dimezzati rispetto a un anno fa, speculazione selvaggia e import in costante aumento. I produttori di grano italiani non ci stanno piu' e lanciano un aut-aut: "Se le quotazioni non tornano a salire, riconoscendo al frumento Made in Italy il giusto valore, faremo lo sciopero della semina". Presidi, sit-in e blocco delle Borse Merci nelle maggiori citta' d'Italia sopno solo alcune della manifestazioni oragnizzate pochi giorni dopo la trebbiatura per dare un ultimatum rispetto alla campagna di semina 2017, ma anche per fare una proposta al Governo: "Stop alle importazioni di grano per 15/20 giorni, cosi' da ridare fiato agli agricoltori in crisi".Secondo la Cia infatti, per il grano si e' andata determinando una situazione paradossale, che ha visto l'immissione nel mercato di ingenti quantita' di grano importato proprio nel periodo della trebbiatura, provocando il tracollo dei prezzi e aumentando a dismisura il gia' ampio divario tra costo del frumento e prezzo del pane e della pasta.
La speculazione, secondo la Coldiretti, costa 700 milioni di euro agli agricoltori italiani, senza alcun beneficio per i consumatori. Nel giro di un anno le quotazioni del grano duro destinato alla pasta hanno perso il 43% del valore mentre si registra un calo del 19% del prezzo del grano tenero destinato alla panificazione. Un crack senza precedenti - denuncia Coldiretti - con i compensi degli agricoltori che sono tornati ai livelli di 30 anni fa, a causa delle manovre di chi fa acquisti speculativi sui mercati esteri di grano da "spacciare" come pasta o pane Made in Italy, per la mancanza dell'obbligo di indicare in etichetta la reale origine del grano impiegato. Non a caso nei primi quattro mesi del 2016 gli arrivi di grano in Italia sono aumentati del 10 per cento, secondo un'analisi su dati Istat, finalizzati soprattutto ad abbattere il prezzo di mercato nazionale attraverso un eccesso di offerta. Il risultato e' che un pacco di pasta su tre e' fatto con grano straniero, cosi' come la meta' del pane in vendita, ma i consumatori non lo possono sapere. Senza dimenticare che il prodotto estero che sbarca nei porti nazionali, al contrario di quello italiano, ha spesso alle spalle tempi lunghi di trasporto e stoccaggio. Basti pensare al paradosso del grano canadese. Nel paese nordamericano la raccolta avviene in settembre e, quindi, quello che arriva in Italia e' gia' vecchio di un anno, mentre quello tricolore e' stato appena raccolto.
Il risultato e' che oggi il grano duro per la pasta viene pagato anche 18 centesimi al chilo mentre quello tenero per il pane e' sceso addirittura ai 16 centesimi al chilo, su valori al di sotto dei costi di produzione che mettono a rischio il futuro del granaio Italia. L'Italia e' il principale produttore europeo di grano duro, destinato alla pasta, che assume un'importanza rilevante data l'elevata superficie coltivata, pari a circa 1,3 milioni di ettari per oltre 4,8 milioni di tonnellate di produzione che si concentra nell'Italia meridionale, soprattutto in Puglia e Sicilia che da sole rappresentano il 42% della produzione nazionale. Piu' limitata e' la produzione del grano tenero che si attesta su 3,2 milioni di tonnellate su 0,6 milioni di ettari.
Non la pensa allo stesso modo l'Aidepi (Associazione delle Industrie del Dolce e della Pasta Italiane) secondo cui in realta' "l'import di grano estero di qualita' salva il mito della pasta italiana: il suo gusto, la sua competitivita' internazionale e l'occupazione di 120 aziende pastarie e 300mila aziende agricole italiane". Secondo l'Associazione senza importazione di grano estero di qualita', gli agricoltori rischierebbero di vendere all'industria meno grano, cioe' solo quello che raggiunge i parametri qualitativi della materia prima previsti dalla legge di purezza, che da quasi 50 anni fissa le regole della nostra pasta. Il resto, senza il blend con grano estero di alta qualita', potrebbe essere venduto solo per l'alimentazione animale, con una perdita dei ricavi per gli agricoltori di circa il 50%. "Purtroppo, l'origine italiana del grano duro non e' in se' sinonimo di qualita'. Negli ultimi 7 anni i valori proteici del grano duro italiano sono stati molto prossimi al 12%. Spesso anche inferiori. Secondo Riccardo Felicetti, presidente dei pastai di Aidepi, e' "falso e fuorviante accusare i pastai di speculare sui prezzi del grano.
L'esperto, "è il glutine che fa la differenza"
Gli industriali, esattamente come gli agricoltori, subiscono le leggi dei mercati globali" e nel 2008 hanno dovuto pagare il grano duro 500 euro alla tonnellata, vivendo una crisi che ha messo in difficolta' il settore. E se oggi il prezzo del grano duro in Italia e' calato del 42% rispetto al 2015 (anno di picco per una cattiva stagione internazionale), e' anche vero che risulta piu' alto di circa il 20% rispetto al 2010. Le fluttuazioni non dipendono dai pastai ma dalle leggi di mercato. Quanto al grano canadese, afferma l'Aidepi, si tratta di una tipologia che negli ultimi 50 anni ha avuto valori medi di proteine del 14,5%, mentre il grano duro italiano, pur abbondante rispetto alle annate precedenti, nel 2016 risulta per circa l'80% di medio-bassa qualita'. (AGI)