(dall'inviato Gianluca Maurizi)
Soulaines-Dhuys - "Dialogo, condivisione e trasparenza". Fabio Chiaravalli, direttore Sogin deposito nazionale e parco tecnologico, sintetizza così la strada scelta per arrivare alla costruzione dell'infrastruttura in cui verranno stoccati definitivamente circa 75.000 metri cubi di rifiuti radioattivi a bassa e media attività e, temporaneamente, altri 15.000 metri cubi di rifiuti ad alta attività. Sogin ha individuato alcune decine di aree potenzialmente idonee, distribuite sul territorio italiano, sulla base dei ferrei criteri dettati dalla guida tecnica emessa dall'Ispra, l'istituto superiore per la ricerca ambientale.
La lista è stata consegnata ai ministeri dello Sviluppo economico e dell'Ambiente che devono dare l'ok alla sua pubblicazione. Da quel momento partirà una consultazione pubblica con cittadini, associazioni ed enti locali, che sfocerà in un seminario nazionale, al termine del quale saranno raccolte tutte le osservazioni per arrivare a stilare una carta definitiva delle aree idonee. "Confidiamo che la condivisione dell'intero processo", dice Chiaravalli, "porterà alcuni territori ad avanzare una propria candidatura". L'opera, che risponde a una direttiva europea, assicura investimenti per 1,5 miliardi di euro, 1.500 posti di lavoro per 4 anni e 700 durante il suo esercizio, incentivi e infrastrutture per il territorio che vorrà ospitarla, oltre a un parco tecnologico destinato alla ricerca. Dei circa 90.000 metri cubi di rifiuti radioattivi che vi verranno raccolti complessivamente e oggi sparsi su tutto il territorio nazionale, il 60% deriverà dallo smantellamento dei vecchi impianti nucleari e il restante 40% dalle attività di medicina nucleare, industriali e di ricerca che continueranno a produrne anche in futuro.
L'esempio migliore di collaborazione tra società di gestione dei rifiuti e cittadini è forse quello francese. A Soulaines-Dhuys la necessità di ospitare il deposito nazionale da un milione di metri cubi fu comunicata nel 1984. E, con buona pace del Governo centrale, immediate furono le reazioni di protesta degli agricoltori e dei politici locali. Il sindaco della cittadina, Philippe Dallemagne, la racconta così: "Scendemmo in piazza a protestare, bloccammo le strade e organizzammo un referendum da cui emerse che l'84% della popolazione era contrario. Il Governo fu obbligato a sedersi al tavolo. E l'apertura del dialogo cambiò le carte in tavola". Gli fa eco Gilles Gerard, all'epoca vice primo cittadino di Epothemont, paesino a meno di quattro chilometri dal deposito: "Per noi il nucleare era Hiroshima, ma eravamo solo ignoranti", Secondo Dallemagne, che è anche deputato dipartimentale dell'Aube, "se oggi organizzassimo la stessa consultazione, il rapporto tra sì e no sarebbe completamente capovolto".
Il sito, a sentire gli amministratori locali, ha portato ricchezza, lavoro e infrastrutture. "E ha anche invertito la piramide demografica", esulta Dallemagne. Andra, la società pubblica che gestisce il deposito, ha versato 10 milioni una tantum e paga alle comunità locali circa 4 milioni di euro di tasse aggiuntive all'anno che restano sul territorio, cifra che arriva a sfiorare gli 8 milioni se si guarda all'intero Dipartimento. Andra svolge annualmente oltre 12.000 controlli sulla qualità dell'aria, del terreno e dell'acqua. Ma ben più importanti, per la tranquillità della popolazione, sono le analisi indipendenti condotte dalla Comunità di informazione locale, in cui siedono politici, medici, sindacalisti e ambientalisti. I controlli vengono finanziati dalla stessa Andra e affidati a laboratori certificati da due importanti associazioni anti-nucleare. La fiducia che è venuta a instaurarsi in questi anni è talmente alta che la comunità dei comuni di Soulaines intende candidarsi a ospitare un ulteriore deposito. "E questa volta", dice Dallemagne, "non vogliamo soldi ma lavoro".
L'impatto sul paesaggio è pressoché inesistente. Il deposito, immerso nei boschi, è composto da grandi celle di cemento armato dentro cui vengono posti fusti di acciaio, contenenti i rifiuti, riempiti di malta cementizia. Quando le celle sono piene vengono colmate di sabbia, sigillate con un tetto di cemento armato e impermeabilizzate. A deposito esaurito, le celle saranno ricoperte da vari strati di terreno per assumere l'aspetto di piccole collinette erbose. Rispetto al deposito francese, quello italiano prevede una protezione in più: i bidoni, prima di essere depositati nelle celle, verranno sigillati in un ulteriore modulo di calcestruzzo. Tutto verrà progettato per resistere 350 anni, il tempo necessario al decadimento della radioattività dei rifiuti. Patrice Torres dirige il deposito nazionale dell'Aube dal 2008. "La chiave di ogni cosa", afferma, "è creare e conservare la fiducia. Bisogna spiegare perché si fa una cosa e come la si fa. Ma la fiducia", avverte, "non è per sempre e va rinnovata ogni giorno, attraverso il confronto e la trasparenza". E "rimuovere ogni dubbio con il confronto e la trasparenza", conclude Chiaravalli, "è il nostro impegno di oggi e di domani". (AGI)