L’Opec (acronimo inglese di Organisation of Petroleum Exporting Countries) è l'organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio. Raggruppa 15 Stati membri, il cui obiettivo è quello di garantire la stabilità dei prezzi del petrolio, evitando che bruschi movimenti possano creare problemi economici nei Paesi produttori. Inoltre si prefigge di fornire “una remunerazione del capitale adeguata per coloro che investono nel settore petrolifero”.
Un cartello a porte girevoli
I Paesi che nel 1960 fondarono l’Opec erano cinque: Iraq, Iran, Kuwait, Arabia Saudita e Venezuela. In seguito sono state numerose le adesioni, anche se alcuni Paesi hanno poi lasciato l’organizzazione. Alle nazioni fondatrici, si sono aggiunti il Qatar nel 1961, Indonesia e Libia nel 1962, gli Emirati Arabi Uniti nel 1967, l’Algeria nel 1969, la Nigeria nel 1971, l’Ecuador nel 1973 e il Gabon due anni dopo. Nel 2007 è entrato l’Angola, la Guinea Equatoriale nel 2017 e nel 2018 il Congo. Il Gabon e l’Indonesia hanno lasciato rispettivamente nel 1992 e nel 2007, salvo poi rientrare nel gennaio del 2016. L'Indonesia ha di nuovo lasciato il cartello a novembre del 2016. L'Ecuador è uscito nel 1992 ed è rientrato nel 2007. Il Qatar, invece, ha annunciato che lascerà l’organizzazione a partire dal primo gennaio del 2019.
Per quanto riguarda la sede, in un primo momento era stata stabilita a Ginevra, ma a partire dal 1 settembre 1965 è stata trasferita a Vienna. Oggi circa il 78% delle riserve accertate di petrolio al mondo, nonché la metà di quelle di gas naturale, si trovano in territori Opec.
Tempi di austerità
L’Opec incide e di molto su alcune scelte a livello internazionale, influenzando in primis, ovviamente, i prezzi internazionali del petrolio. Ad esempio, durante la crisi energetica del 1973 (grande shock petrolifero), il cartello si rifiutò di fornire petrolio alle nazioni occidentali che avevano sostenuto Israele nella guerra del Kippur contro l’Egitto e la Siria. Questo rifiuto provocò un incremento del 70% nel prezzo del greggio, che durò per cinque mesi, dal 17 ottobre 1973 al 18 marzo 1974. Ne nacque quella che in Occidente ci si ricorda ancora come l’Austerity: poca benzina alla pompa, domeniche con il blocco totale della circolazione delle auto, Tony Santagata che cantava: “Se non vuoi andare a piedo, compra l’asino”. Le nazioni dell’Opec decisero, il 7 gennaio 1975, di innalzare i prezzi del petrolio grezzo del 10%.
Dopo la morte di Saddam Hussein
Tra gli eventi decisivi nella sua storia ci sono gli accordi del 1983 e 1984 (in cui vennero introdotte forme di autodisciplina e furono stabilite quote massime di produzione per ciascun Paese), la crisi del Golfo del 1990 (che causò l’interruzione temporanea di questi accordi dovuta all’occupazione del Kuwait da parte dell’Iraq), il blocco delle esportazioni di petrolio dall’Iraq dopo la guerra del Golfo e la scomparsa dell’Unione Sovietica con le conseguenti oscillazioni nella produzione di petrolio dei territori che le appartenevano. Inoltre, tra la seconda metà degli anni ’90 e gli inizi del nuovo millennio, l’Opec è stata costretta a rivedere più volte gli accordi sulla produzione per garantire un mercato petrolifero più stabile. L’obiettivo era quello di contenere il prezzo dell’oro nero dato il notevole aumento di richiesta da parte dei Paesi emergenti come la Cina.
Il futuro immediato
Il vertice Opec di giovedì prossimo dovrà decidere la politica da adottare fino a primavera. Il mese di novembre è stato il peggiore degli ultimi dieci anni per i prezzi del greggio, soprattutto a causa degli eccessi di rifornimento legati all'aumento della produzione Usa, e per questo i Paesi produttori con in testa Russia e Arabia Saudita starebbero valutando un taglio nell'ordine di 1-1,4 milioni di barili al giorno.