Conoscono la materia fiscale meglio di chiunque altro, anche quei cavilli che generano a volte dei risparmi non trascurabili. Di norma si occupano di tenere in ordine i conti dei clienti, che siano i bilanci di società o delle semplici dichiarazioni dei redditi. Sono i “dottori commercialisti”, un esercito di 118 mila professionisti, che come tutti gli anni in questo periodo tengono gli occhi puntati sull’evoluzione febbrile della legge di bilancio.
A maggior ragione quest’anno che il governo giallorosso ha dichiarato con fermezza guerra all’evasione fiscale e, proprio loro, sono finiti nell’occhio del ciclone per l’annuncio di un fantomatico “daspo”, ossia l’interdizione dall’attività per l’aiuto o la connivenza nei confronti dei clienti evasori, che si è rivelato alla fine una fake news.
Il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri si è affrettato a smentire pubblicamente l’indiscrezione perché comportamenti illeciti di questo tipo sono già sanzionati dalle leggi vigenti. Ma il danno d’immagine ormai consumato si è abbattuto, numeri alla mano, su una categoria che è meno ricca e avvantaggiata nella maggioranza dei casi di quanto si possa pensare.
Alle prese con una concorrenza altissima
I commercialisti italiani sono iscritti a ben 131 ordini territoriali. Se ne trova uno in ogni capoluogo di provincia e la parte restante in alcune città più grandi della media. Secondo l’ultimo report della Fondazione di categoria, al 1° gennaio erano iscritti all’ordine nazionale in 118 mila, ossia un commercialista ogni 510 abitanti, bambini e pensionati inclusi. Un numero elevato che rende questa professione altamente competitiva. In particolare, nelle regioni del sud, dove si registra la concentrazione più alta. In Puglia, ad esempio, c’è un commercialista ogni 405 persone, in Campania ogni 411 e in Abruzzo ogni 412.
Al contrario nelle regioni del nord ce ne sono di meno. E infatti, fatta eccezione per la Sardegna, nelle province autonome di Trento e Bolzano ne risulta uno ogni 741 abitanti, in Val d’Aosta ogni 688 e così via. Sarà stata forse questa differenza e quindi una maggiore possibilità di trovare impiego ad aver determinato negli ultimi dieci anni un tasso di crescita del numero degli iscritti più alto al nord, con Trento e Bolzano (+30,4%) e l’Emilia-Romagna in testa (+29,5%) e più limitato al sud.
In generale, comunque, quella del commercialista è una professione in crescita, tanto è vero che dal 2008 soltanto la Liguria (-6,6%) e la Basilicata (-1,2%) hanno mostrato un tasso negativo in un quadro che complessivamente a livello nazionale ha segnato più 10,4%. La differenza “storica” nel numero degli iscritti tra nord e sud va, quindi, per questo motivo assottigliandosi.
Resta, invece, per il momento cristallizzata quella retributiva con una forbice molto ampia che parte da un reddito medio di 24 mila euro dichiarato in Calabria e arriva a uno di 107 mila a Trento e Bolzano. Una disparità che oltre al fattore concorrenza è probabilmente correlata anche col diverso costo della vita.
Per i commercialisti guadagni in calo
La Fondazione ha elaborato il reddito medio annuo del commercialista italiano incrociando i dati delle varie casse di previdenza. Il risultato supera di poco i 59 mila euro, ma come si è visto la variabilità sul territorio è elevata. Gli ordini con i redditi più ricchi sono tutti al nord: Bolzano (133 mila), Milano (109), Lecco (91), Sondrio (89), Verbania (88), in generale tutto il nord si attesta sugli 81 mila euro di media. Gli ordini meno ricchi sono al sud e parliamo in primis di Cosenza (22 mila), Sala Consilina (22), Palmi (22), Enna (21), Vibo (20). In generale, in tutto il sud la quota si ferma a 30 mila euro.
Ferme restando le differenze territoriali, nell’ultimo decennio i commercialisti non hanno visto crescere i propri compensi. Anzi, come evidenzia sempre la Fondazione, la quota Irpef dichiarata in media si è ridotta dello 0,7%. La crisi economica che si è scagliata sul paese dal 2012 in poi ha avuto delle ricadute evidenti sulla ricchezza anche di questa categoria, che da allora non è ancora riuscita a recuperare i livelli di reddito precedenti. Andando a osservare il valore reale e non nominale delle dichiarazioni, infatti, dal 2008 i commercialisti hanno perso l’11,9% del reddito annuo.
Il reddito medio non restituisce comunque un’idea veritiera di quanto guadagni il “commercialista medio” perché il valore può essere falsato dai pochi che presentano redditi molto alti. In questo caso può essere d’aiuto prendere in considerazione il valore mediano che taglia in due segmenti la distribuzione: il commercialista che si pone a metà nella lista tra quello più ricco e il più povero guadagna 33 mila euro e quindi tutti quelli posizionati prima di lui meno. Una differenza così evidente tra media e mediana, tra 59mila e 33mila euro, suggerisce, appunto, che ci sia una grande disparità nel reddito tra pochi super pagati da una parte e la stragrande maggioranza dall’altra.
Liberi professionisti: una storia comune
Le parcelle astronomiche di pochi professionisti in contrasto con la retribuzione modesta dei restanti colleghi, caratterizza non solo il mondo degli esperti contabili. È la situazione tipica delle libere professioni in tanti altri campi. Per fare qualche esempio, vale per gli avvocati, che da praticanti non superano di solito i 3-400 euro al mese e vale ancora di più per i giornalisti. Il reddito medio del giornalista che si attesta addirittura a 61 mila euro, pubblicato dall’ente previdenziale della categoria (Inpgi), infatti, è stato calcolato soltanto sui pochi giornalisti (appena 17 mila) con rapporti di lavoro attivi e contrattualizzati.
Se l’analisi viene fatta inglobando anche i freelance e quindi anche una buona parte di coloro che lavorano utilizzando una partita Iva, il 66% non supera i 35 mila euro annui, almeno secondo l’osservatorio sul giornalismo dell’Agcom.
Per quanto riguarda il numero di iscritti all’ordine, sia i commercialisti che i giornalisti superano la soglia dei 110 mila, ma risultano più che doppiati dagli avvocati che arrivano a quota 247 mila. Di avvocati se ne contano, infatti, 4 ogni 1000 abitanti contro i 2,7 commercialisti e 1,8 giornalisti. Le disparità, all’interno degli ordini professionali, non riguardano solo i redditi e le regioni di esercizio. Gli avvocati ad esempio hanno la percentuale più alta di donne (47,2%), quasi la metà, a differenza dei commercialisti (31,6%) dove, invece, le differenze di genere sono evidentemente assai più marcate.
Non è un lavoro per giovani
Se le commercialiste sono meno di un terzo, a mancare in modo ancora più evidente è un’altra categoria: i giovani. I commercialisti al di sotto dei 40 anni risultano appena il 18,4%, contro il 64,7% della fascia 40-60 anni. Negli ultimi dieci anni la fascia dei giovani è crollata dell’11,5%. Evidentemente questa professione è diventata meno attrattiva di quanto lo fosse in passato, vuoi per la minore prospettiva di guadagno o per la maggiore difficoltà associata al lavoro stesso, che dipende moltissimo dalle leggi che riguardano il mercato del lavoro così come da quelle di bilancio, che anno dopo anno introducono sempre nuove variabili e rendono più complicata la vita proprio ai commercialisti.
Questo non significa che il numero dei praticanti, oggi 13.751, sia in diminuzione. Al contrario, il numero assoluto cresce di anno in anno: nel 2019, ad esempio, ce ne sono 189 in più rispetto all’anno precedente rispetto (0,7%). Tuttavia, è il tasso di crescita, per così dire, che diminuisce: aumentano, ma sempre meno. E anche in questo caso le differenze regionali pesano: il nord è in attivo (+2%) e il sud in negativo (-2%). I commercialisti al di sotto dei 40 anni, d’altronde, sono maggiormente concentrati nell’Italia settentrionale e gli ordini in assoluto con più giovani sono appunto Trento, Bolzano, Sondrio, Padova e Milano. La scelta delle giovani leve di svolgere il praticantato nelle città del nord non sorprende in quanto presumibilmente dettata dall’aspettativa di una paga migliore e da una concorrenza meno forte.
Gli addetti alla contabilità in Europa
A livello europeo, l’Italia in termini assoluti è il terzo paese tra i 28 dell’Unione per numero di impiegati in aziende contabili. Tuttavia, un confronto è davvero difficile. Le statistiche di Eurostat, infatti, racchiudono tutte le tipologie professionali che lavorano in società di contabilità, revisione, consulenza. Quindi non solo i commercialisti, ma anche segretari o avvocati. E infatti nelli ultimi dati disponibili, relativi al 2017, vediamo che in Italia nel settore ci sono complessivamente 270 mila addetti, un numero ben più alto dei 118 mila iscritti all’albo dei dottori commercialisti. La Germania che è al primo posto ne presenta 437 mila e il Regno Unito al secondo 379 mila.
Tuttavia, come spesse accade, la fotografia è del tutto diversa se si calcola il numero degli addetti in base alla popolazione. Il rapporto tra lavoratori di aziende contabili ogni 1000 abitanti porta l’Italia (4,4) a metà classifica, preceduta da diversi altri paesi. In particolare, da paesi noti per il loro regime fiscale agevolato come Lussemburgo (25,23) e Malta (7,7), ma anche Slovacchia (6), Ungheria (5,9) e Lettonia (5,9). Agli ultimi posti, invece, il Belgio (2,8), la Francia (2,6) e la Romania (1,2).
In conclusione, nonostante il numero assoluto di commercialisti e addetti al settore contabilità nel nostro paese sembri molto alto, in realtà se lo calcoliamo in rapporto alla popolazione siamo in linea con la maggior parte dei paesi europei. Senz’altro il settore contabile è affetto da una elevata concorrenza che si traduce in redditi non particolarmente elevati, in particolare al sud Italia dove la concentrazione è più alta.
La crisi economica ha abbattuto i salari reali dell’11,9%, oltre la metà dei commercialisti del paese guadagna meno di 33 mila euro all’anno e grazie ai continui cambiamenti in ambito legislativo sia nel settore del lavoro che nella programmazione finanziaria annuale, la professione è diventata anche molto più complessa e faticosa da esercitare. Forse per questo negli ultimi anni la diventare commercialista non è più il sogno di tanti giovani, tanto è vero che oggi i professionisti sotto i 40 anni l’11,5% in meno di dieci anni fa.