Gli alberi assorbono CO2, catturano le polveri sottili causate dallo smog e diminuiscono la temperatura dell’ambiente in cui sono inseriti fino a 2° centigradi. Verrebbe da dire chi trova un “albero”, trova un tesoro. E infatti, tra gli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, le Nazioni Unite hanno inserito il ripristino delle foreste degradate e l’aumento delle superfici boschive, ma hanno anche sottolineato l’importanza dell’accesso al verde in città, dove i benefici delle piante sono sotto gli occhi di tutti. In questi ultimi anni, sull’onda di una maggiore sensibilità alle tematiche ambientali, alcuni comuni stanno correndo ai ripari con massicci interventi di piantumazione urbana. Ma quanti sono gli alberi nelle nostre città?
Quanto sono verdi le città italiane
Secondo l’Istat, che ogni anno svolge un’indagine sul verde urbano, in Italia ci sarebbero 3,6 milioni di fusti tra strade e palazzi. Il dato, del 2017, si riferisce esclusivamente ai comuni capoluogo di provincia. Purtroppo non tutte le amministrazioni hanno quantificato il loro patrimonio arboreo, oppure lo hanno fatto soltanto in parte, nonostante le prescrizioni di legge. Dal 2013, infatti, la legge n.10 obbliga i comuni a registrare tutti gli alberi presenti sul loro territorio in un catasto.
La legge prevede inoltre che venga “messo a dimora” un albero per ogni nuovo cittadino nato o adottato se si tratta di centri superiori ai 15 mila abitanti. La disposizione ha modificato, ampliandola, una legge del ’92 già esistente in materia, ma è rimasta nella maggioranza dei casi disattesa. Tant’è che per intervenire ancora sul problema, nel 2018 le senatrici pentastellate Paola Nugnes e Vilma Moronese hanno presentato un ulteriore disegno di legge che prevede la piantumazione in ogni comune anche in caso di morte di un cittadino di età inferiore ai cinquant’anni.
È di questi giorni, invece, l’iniziativa della comunità Laudato sì che ha chiesto “a ogni cittadino di buona volontà, ad ogni organizzazione di qualunque natura e orientamento, ad ogni azienda pubblica o privata, alla straordinaria rete di comuni e regioni d’Italia, al governo nazionale” di piantare alberi in città affinché alla fine ce ne sia uno per ogni italiano.
Considerando non solo gli alberi, ma tutti i tipi di piante, l’Istituto nazionale di statistica quantifica, sempre nel 2017, il verde “fuori foresta” pari all’1,4% del territorio nazionale. Secondo questi dati, in media i cittadini dei 109 capoluoghi di provincia hanno a disposizione a testa 31,7 metri quadrati di verde. Un’estensione in teoria ben superiore ai 9-11 metri che il comitato per lo sviluppo del verde pubblico del Ministero dell’Ambiente considera sufficiente a garantire una buona qualità della vita in contesti urbani.
Tuttavia, guardando caso per caso, si vede come diversi comuni non raggiungano questo livello minimo. Parliamo di Caltanissetta (9,2 m2 per cittadino ), Foggia (9 m2), Ascoli Piceno (8,9 m2), Bari (8,6 m2), Imperia (7,9 m2), Siracusa (7,6 m2), Trani (6,9 m2), Chieti (6,8 m2), Savona (6,7 m2), Genova (6,4 m2), Trapani (5,8 m2) e Crotone (4,2 m2). All’opposto, altre città si distinguono per essere dei piccoli polmoni verdi, come Matera (996,8 m2), Trento (414,9 m2), Sondrio (315,9 m2) e Potenza (190,8 m2) perché ospitano ampie aree boschive. Le grandi città come Roma, Milano e Napoli in termini assoluti presentano le estensioni più ampie, ma nel rapporto con la popolazione vanno a finire nella fascia medio bassa: la Capitale conta 16m2 per abitante, Milano 18m2 e Napoli 13m2.
Il verde urbano non decolla
Gli italiani erano conosciuti in tutta Europa per essere degli ottimi giardinieri, ma ciò non è bastato per assicurare un’attenzione particolare al verde pubblico. Anzi, spesso gli errori grossolani si sprecano e succede, ad esempio, che gli alberi vengano piantati in luoghi poco adatti e che le radici bisognose di terreni profondi sollevino marciapiedi o danneggino i manti stradali. Ma soprattutto, il numero delle piante in città stenta a decollare.
Da diversi anni la superficie di verde urbano è sostanzialmente invariata. Nonostante gli appelli e gli sforzi legislativi messi in campo, a livello nazionale dal 2011 al 2017 l’incremento è stato appena di 60 centimetri quadrati per abitante. Anche se poi entrando nello specifico, ci sono diversi comuni che in questo lasso di tempo sono riusciti a recuperare della vegetazione. Alcuni in particolare hanno oltrepassato la soglia critica dei 10 metri quadri per cittadino come Isernia che si è portata da 5,9 a 15,1, Taranto da 6 a 13,5 o Sassari che da 8,8 è passata a 16,9 metri quadrati di verde per abitante.
Quali sono le tipologie di verde pubblico
La tipologia di verde urbano prevalente in Italia è di tipo storico e rappresenta il 23% della superficie nei comuni capoluogo. Include, ad esempio, i giardini della Reggia di Caserta, il Parco di Monza istituito da Napoleone, il parco archeologico Neapolis a Siracusa e tutti quelle aree verdi caratterizzate da un alto valore culturale ed estetico. È presente in 98 città e prevalente, addirittura in 18, come segnala l’ultimo report sulle infrastrutture verdi del paese dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra).
A seguire, tra le forme maggiormente diffuse ci sono: le aree boschive (19,1%), i grandi parchi (14,4%) ossia quelli superiori agli 8mila metri quadrati, il verde attrezzato (14,2%) costituito dai parchi più piccoli e dai giardini di quartiere con i giochi per i bambini, e le aree di arredo urbano (8,8%) che comprendono le aiuole, le piste ciclabili e tutte le aree verdi create a fini estetici o funzionali. Tra le altre tipologie, si possono citare i giardini scolastici (3,3%) che si trovano in tutti i comuni tranne che a Piacenza e sono, invece, la versione predominante a Crotone. E le zone incolte (7,4%) non sempre fruibili, che sono la maggiorparte a Como, Taranto e Reggio Calabria.
Quanti alberi monumentali si trovano in città
Le piante riescono a farsi spazio spontaneamente in quelle parti della città che hanno resistito alla cementificazione. Non è raro vederle spuntare nei centri storici tra le vecchie case e i monumenti. E benchè l’ambiente possa suggerire che siano piante ereditate dal passato, sono invece come ha dimostrato una recente ricerca per lo più frutto di nuove contaminazioni. Altre volte, sono le piante stesse a trasformarsi in monumento.
È il caso degli alberi monumentali, a cui viene attribuita secondo l’Ispra perfino una personalità giuridica. Rientrano nella categoria quei fusti “considerati rari esempi di maestosità e longevità” per una serie di ragioni, tra le quali: età, dimensioni, pregio naturalistico, rarità botanica. Un esempio è l’intreccio possente e sinuoso di tronchi rappresentato dal ficus di Bordighera o la farnia a Sterpo di Bertiolo che ha ben 620 anni.
In tutto il paese si contano più di 3000 alberi monumentali. Sardegna (397), Abruzzo (299), Friuli Venezia Giulia (230) e Piemonte (220) ne ospitano il numero maggiore. L’elenco completo regione per regione è disponibile sul sito del Ministero delle politiche forestali e in aprile è stato aggiornato con 509 nuove iscrizioni. Del totale, 1132 sono localizzati nei centri abitati sia in città che nei piccoli comuni. Nella tabella di seguito si trovano tutti i nomi degli alberi monumentali urbani, il loro indirizzo e il criterio di selezione.
Un rimedio all’inquinamento
La lotta a cambiamento climatico passa soprattutto per le piante, nostre importanti alleate contro l’effetto serra e il riscaldamento terrestre per la loro fondamentale capacità di assorbire anidride carbonica. Non tutte le specie, però, tolgono dall’atmosfera il nemico numero uno dell’ambiente con la stessa efficacia. L’istituto di Biometereologia del Cnr, ha quantificato la capacità di assorbimento di CO2 delle principali specie di vegetazione a parità di condizioni. E per Gaia, il progetto di forestazione urbana del Comune di Bologna, ne ha selezionate 24, elencate di seguito.
L’acero riccio assorbe nell’arco dei suoi 30 anni di vita, se situato in un’area urbana, 4807 tonnellate di CO2. E se è vero che un chilometro in automobile produce come stima Trenitalia 118 grammi di CO2, significa che un acero riccio è in grado di eliminare dall’atmosfera le emissioni prodotte in 40.700 km, più di ciò che percorre un auto per fare il giro della terra. Questi alberi si distinguono, inoltre, per un’altra ragione. Rispetto ai loro simili, sono maggiormente capaci di trattenere tra le loro foglie il particolato causato dallo smog, ossia le polveri sottili che abbiamo imparato a conoscere col nome di pm2,5 e pm10 e che sono alla base di numerose patologie respiratorie. E allo stesso tempo rilasciano nell’aria una quantità trascurabile di ozono.
Il valore delle piante risulta, d’altronde, inequivocabile per un ulteriore aspetto: la loro capacità di ridurre la temperatura di un paio di gradi nell’ambiente in cui sono immerse, attraverso la traspirazione, ossia l’emissione di vapore acqueo durante le ore calde del giorno, ma anche semplicemente con l’ombreggiatura che provocano su strade e palazzi. Per le loro proprietà “termiche” le piante sono sempre più utilizzate nell’architettura green, in particolare per la copertura di tetti e pareti. Un tetto ricoperto di prato o piante grasse può abbattere d’estate la penetrazione del calore del 40% e d’inverno la stessa coltre vegetale impedisce che il caldo si disperda, oltre a rappresentare un ammortizzatore per l’edificio contro le piogge battenti.
I benefici delle piante oggi possono essere, quindi, quantificati con semplicità. Oltre al cittadino alle prese con le bollette di casa, sono sempre di più gli studiosi che calcolano il valore delle piante. Si sta sviluppando tra gli economisti, infatti, un nuovo filone chiamato treeeconomics che vede negli alberi un investimento a tutti gli effetti. Ad esempio, il bagolaro di via Treves a Milano varrebbe 102 mila euro e gli alberi di tutta Hyde Park 190 milioni. Numeri veri che dovrebbero spingere le amministrazioni a togliere il “verde urbano” dalla sezione spese del bilancio.