Finite le vacanze estive, per molti è giunto il momento di tornare al tran tran quotidiano fatto di famiglia, lavoro e spesso anche di traffico, perché in un paese dove più della metà degli spostamenti urbani viene effettuata con l’automobile, rimanere inchiodati per ore nelle arterie congestionate della propria città è purtroppo la norma. Precisamente perdiamo 37 ore all’anno chiusi in un abitacolo con la voglia di essere altrove.
Ore che si accumulano perché impieghiamo a causa del traffico in media il 24% del tempo in più per un percorso rispetto a quello previsto in assenza di congestione. E se tra la radio e le telefonate di lavoro (rigorosamente con auricolari o strumenti wireless) c’è chi riesce a svagarsi o a fare comunque qualcosa di costruttivo, le code che tra pochi giorni torneranno a essere protagoniste restano una scocciatura che tutti vorrebbero evitare.
La soluzione, in verità, esiste e si chiama mobilità sostenibile, ossia il muoversi a piedi, in bici e con i mezzi pubblici. Negli ultimi quattro anni gli spostamenti di questo genere sono aumentati dell’8,5%. Un piccolo balzo in avanti che non ha mutato il quadro generale: l’automobile resta la vera passione degli italiani, i principali proprietari di autovetture in Europa, e il traffico, di conseguenza, il problema cronico delle città.
Qual è il livello di traffico in Italia
Ancora poche giornate di tregua estiva per scorrazzare in libertà tra le strade semivuote del centro. L’inizio delle scuole, è risaputo, segnerà il ritorno al caos. Nella capitale, che è la città più assediata dagli automobilisti d’Italia, per percorrere una qualsiasi distanza bisognerà considerare il 39% di tempo extra in media. Non è molto diversa la situazione a Palermo, dove si rimane inchiodati nel traffico il 35% del tempo in più del dovuto o a Messina (32%), Genova (31%), Napoli e Milano (30%). Gli abitanti delle grandi aree metropolitane ci sono abituati e in modo più o meno consapevole includono questi “ritardi” nei calcoli delle loro percorrenze. Chi lo fa, invece, in modo scientifico è la celebre multinazionale TomTom, specializzata in servizi per la navigazione stradale che da otto anni effettua misurazioni di questo tipo in tutto il mondo. Tra le 403 città monitorate nel 2018, 25 sono italiane, incluse tutte le principali. È, quindi, plausibile che in assenza di una rilevazione completa sul territorio queste 25 siano anche le più congestionate del paese.
Sui dati di queste città l’indice del traffico di TomTom per l’Italia intera risulta del 24%. Significa che nel 2018 in media abbiamo trascorso in macchina il 24% in più del tempo necessario a causa del traffico. TomTom calcola l’indice o “livello di congestione”, stabilendo all’inizio quale sia la durata standard per un tragitto in assenza di traffico e lo fa non sulla base dei limiti di velocità, ma su rilevazioni reali. I dati, infatti, vengono collezionati tramite il segnale gps di auto e cellulari. Dopo di che mette in paragone questa durata con il tempo di percorrenza dei vari tragitti registrati 24 ore al giorno per tutte le settimane dell’anno e calcola la percentuale media del ritardo. Infine, ottiene un indice valido per l’intera città, pesando diversamente le arterie molto trafficate dalle strade meno importanti. Dall’elaborazione dello scorso anno la megalopoli indiana di Mumbai si è rivelata la città più trafficata al mondo con un livello di congestione pari al 65%, seguita da Bogotà, Lima, New Dehli e Mosca. Le misurazioni di TomTom sono utilizzate da governi e istituzioni, inclusa l’Unione Europea, ma possono essere utili anche ai cittadini perché forniscono una panoramica sul traffico con il numero e la lunghezza delle code in tempo reale.
Quanto tempo perdiamo nel traffico
Essendo una percentuale, l’indice non indica una durata specifica, che infatti varia a seconda del tragitto. Ma è possibile farsi un’idea concreta dei minuti che si perdono nel traffico, grazie a un ulteriore elemento fornito da TomTom: il tempo extra di viaggio nelle ore di punta. Questa volta calcolato solo nell’ora più trafficata del mattino e della sera di 230 giorni lavorativi all’anno. In particolare, TomTom ci dice quanto tempo possiamo perdere in coda durante questi picchi sulla base di un tragitto di mezz’ora. Ad esempio, a Roma quando di mattina servirebbero 30 minuti per andare a lavoro se ne impiegano 55, e di sera per tornare 52. Non tutte le situazioni monitorate sono così tragiche. A Trieste e Brescia, sia all’andata che al ritorno se ne perdono soltanto 8 in più.
Non è un caso che per avere una rappresentazione realistica di quanto tempo il traffico sia in grado di toglierci nella vita quotidiana siano stati presi in considerazione soltanto i valori dei giorni lavorativi. I dati altrimenti sarebbero stati falsati dai livelli di cogestione praticamente nulli dei giorni festivi e dei periodi di ferie. Gli indici di traffico giornalieri in assoluto più bassi in queste 25 città si registrano per la maggior parte, infatti, a luglio (5), agosto (11) e a gennaio (4). Le giornate peggiori, invece, con i livelli di congestione più alti si hanno in autunno, a partire da settembre (1) e con un picco a dicembre (10), e poi in primavera, a marzo (4) e aprile (3).
Il traffico italiano è tra i peggiori in Europa
Gli italiani trascorrono in coda come minimo 37 ore all’anno. A dirlo è la Commissione europea che ha aggregato per tutti i paesi dell’Unione i dati di TomTom del 2017 sui picchi giornalieri. Peggio dell’Italia che è in terza posizione fanno solo il Regno Unito (45) e il Belgio (39). Nel giro di due anni la situazione italiana è peggiorata, perché nel 2015 con circa due ore di traffico in meno era in quarta posizione dietro alla Grecia. Non c’è, quindi, da sorprendersi se nell’elenco degli stati europei che fa TomTom e che include Russia e Turchia, Roma, la città italiana più congestionata, sia appena in dodicesima posizione, prima di Londra e Parigi.
Sarà forse perché a differenza degli altri cittadini europei gli italiani amano le automobili. Ne possiedono il numero più alto a parità di popolazione. E anche se le immatricolazioni non sono sufficienti da sole a spiegare il traffico, la quantità di vetture in circolazione in un’area può giocare un ruolo importante nel sorgere degli ingorghi. Secondo l’Eurostat sei delle dieci regioni europee con il più alto numero di macchine immatricolate ogni mille abitanti si trovano in Italia. La Valle d’Aosta, anche per le agevolazioni di natura fiscale che propone, è al primo posto con 1325 auto. Subito dopo ci sono le Province autonome di Trento (1017) e di Bolzano (954). Le altre sono l’Umbria (714), il Molise (682) e il Piemonte (672).
Che l’automobile sia il mezzo di trasporto preferito dagli italiani, lo dice anche il rapporto MobilitAria 2019 redatto da Kyoto Club e dal Cnr-IIA (Consiglio nazionale delle ricerche, Istituto sull’inquinamento atmosferico) con i dati dell’Osservatorio Opmus-Isfort. Nelle 14 grandi città al centro dell’indagine più della metà degli spostamenti urbani nel 2016-17 è stato effettuato al volante. La media nazionale è del 59,7%, alleggerita dal dato positivo di Milano che si ferma al 50,8%, ma in alcuni casi come Reggio Calabria si raggiunge il 73,8% e a Messina addirittura il 77,4%.
In quattro anni comunque la media generale si è abbassata di 8,5 punti. Significa che rispetto al 2012-2013 una buona parte di cittadini ha scelto di lasciare l’automobile in garage per spostarsi a piedi, in bicicletta e in autobus con effetti positivi non solo sulla viabilità, ma anche sull’inquinamento dell’aria. Proprio per abbattere le concentrazione delle polvere sottili le città metropolitane stanno lavorando a Piani Urbani di mobilità sempre più sostenibili, ma questi tentativi non riescono ancora a produrre un cambiamento radicale.
Come si legge in alcune considerazioni del report: «L’indagine restituisce uno spaccato delle Città metropolitane caratterizzato da segnali interessanti di progressione verso equilibri di maggiore sostenibilità, ma con una capacità di spinta - che significa in concreto la messa in campo di politiche adeguate di contrasto all’uso dell’auto - ancora insufficiente e paradossalmente inferiore a quella registrabile in altri territori del paese». Per modificare le abitudini culturali e i disagi oggettivi sarà necessario "irrobustire la pianificazione" e mettere in campo "azioni più coraggiose".