Refrigerio dei pomeriggi di afa grazie al loro elevato contenuto di acqua, cocomero e melone sono gli indiscussi protagonisti delle tavole estive e di questi tempi non mancano mai nel carrello degli italiani. Entrambi i frutti appartengono alla famiglia delle cucurbitacee, ma sono ben diversi dal punto di vista del gusto e delle caratteristiche fisiche ed organolettiche. Per questo motivo non tutti li amano allo stesso modo. Alcuni prediligono la polpa fibrosa e dissetante del cocomero. Altri preferiscono il melone, più piccolo e sodo, da cui si tolgono i semi con facilità e che è più versatile, perché può essere consumato sia nella versione salata, con il prosciutto o in insalata con dei formaggi, che in quella dolce, dal sorbetto alla macedonia. Se lo scontro tra le tifoserie del palato infuoca come al solito la stagione, soltanto un confronto numerico, però, potrà rivelarci il vero vincitore di questa gara ortofrutticola.
La coltivazione di cocomero domina a livello mondiale
Secondo una tipica consuetudine per riconoscere un cocomero di buona qualità, bisogna sentirne il suono, cioè il busso energico su una parte qualsiasi della sua superficie deve risultare sordo. Ci sono poi altri trucchetti come notare se il punto dell’attaccatura col picciolo sia ancora verde o scegliere i frutti con striature e macchie gialle. Con ogni probabilità la nostra tradizione popolare non è l’unica ad avere elaborato bizzarre trovate per scovare fra tanti il globo più gustoso.
L’anguria, infatti, da oriente a occidente è un alimento estremamente popolare. Uno studio del 2016 condotto dalla multinazionale del seme Limagrain, lo incorona come il frutto più consumato del pianeta, perfino più della banana. Considerando le decine di varietà, presenta una produzione mondiale imponente che la Fao ha quantificato nel 2017 in 197 milioni di tonnellate. Da questo punto di vista non sembra esserci alcun confronto con il melone che nello stesso anno si è fermato a 49 milioni di tonnellate. E questo sebbene il melone sia caratterizzato da una stagione produttiva più lunga, che arriva ai 10 mesi nelle coltivazioni in serra, e sia più adatto al trasporto a causa delle sue dimensioni ridotte. Per tutte le principali qualità di melone, infatti, dai cantalupi con o senza suture ai meloni d’inverno, non si superano di norma i cinque chilogrammi.
La coltivazione di anguria è sempre stata quella più diffusa. Scorrendo all’indietro nel tempo i dati della Fao, lo scarto di tonnellate tra i due frutti risulta costante fino all’inizio degli anni ’90, quando il cocomero oggetto di un vero e proprio boom di popolarità triplica la sua quantità mentre il melone pur aumentando la sua non riesce a recuperare la distanza. Forse perché i dolcissimi frutti a pasta gialla e bianca sono piuttosto esigenti dal punto di vista delle condizioni ambientali. Per crescere liberamente hanno bisogno di terreni profondi e drenati, nonché di alte temperature. Oggi a ogni chilo di melone ne corrispondono ben quattro di cocomero, una differenza di quantità che mette gli amanti della polpa rossa in una posizione senza dubbio privilegiata.
Siamo tra i principali produttori di melone al mondo
Se la quantità totale di prodotto sul mercato dei nostri due protagonisti presenta numeri molto diversi, al vertice della classifica dei principali produttori ci sono, però, per entrambi gli stessi tre stati. La Cina trainata dal suo enorme mercato interno occupa il primo posto come succede ormai per molti altre voci dell’agricoltura e dell’economia in generale. Da sola, infatti, rappresenta il 40,17% della produzione mondiale di cocomero e quasi il 35% di quella del melone. Nettamente a distanza Turchia e Iran si scambiano il secondo e il terzo posto, rispettivamente con il 2,05% e 2,03% per l’anguria e l’8,17% e 8,27% per il melone. Seguono sia nell’uno che nell’altro caso paesi caldi, per la maggior parte extraeuropei, come il Marocco, l’Egitto, il Messico e il Brasile.
La situazione dell’Italia, invece, varia notevolmente a seconda del frutto. Per quanto riguarda l’anguria, occupa la ventesima posizione con una fetta appena dello 0,29% della produzione mondiale ed è superata sia dalla Spagna che dalla Grecia. La Spagna, in particolare la zona di Almeria, negli ultimi anni sta puntando molto sulle esportazioni con prodotti senza semi che vanno per la maggiore all’estero. Sembra, infatti, che la predilezione per i piccoli semi neri sia diffusa soltanto in paesi con una grande tradizione gastronomica e in mercati poco sviluppati. Per quanto riguarda il melone, invece, l’Italia è appena fuori la top ten. Si colloca in undicesima posizione con una quota più alta, pari all’1,23% del totale mondiale, alle spalle sempre della Spagna, ma non della Grecia. In relazione agli altri paesi, specialmente dell’area del Mediterraneo, risultiamo quindi tra i principali produttori.
Produciamo più meloni che cocomeri
La differenza è di appena 22 mila tonnellate, quanto basta per sostenere che in Italia si raccolgono più meloni che cocomeri. Nel 2018 il confronto è stato di 633 mila tonnellate contro 611 mila. Ma lo stesso rapporto di forza si ritrova anche negli anni precedenti. In totale controtendenza con il quadro internazionale, quindi, i meloni sono più presenti nei nostri campi. Anche se nelle ultime stagioni si è assottigliata gradualmente questa divergenza.
La Sicilia, in particolare Agrigento, batte ogni record nella produzione delle cucurbitacee dalla polpa gialla. Secondo i dati dell’Istituto nazionale di statistica più di un sesto dell’intera quantità italiana (114 mila) proviene da questa provincia della Sicilia e a livello regionale si arriva a 172 mila tonnellate. Grazie al melone mantovano IGP, invece, un altro centro di produzione fondamentale è la Lombardia, seconda classificata con 106 mila tonnellate. Dopo di che si piazzano al terzo e al quarto posto la Puglia (55 mila) e l’Emilia-Romagna (45 mila).
Ad avere il primato per le cucurbitacee a polpa rossa è, invece, la città di Latina. Se ne raccolgono più di 120 mila all’anno. Il 22 luglio, infatti, proprio qui si è tenuto un contest per cocomeri giganti dove ha strappato il record un’opera della natura di 99 chilogrammi. Angurie in abbondanza vengono fuori anche nella piana del Sele nel salernitano (78 mila), quasi l’intera quantità di tutta la Campania (96 mila), e altre coltivazioni importanti sono localizzate in Lombardia (87 mila) e in Puglia (72 mila).
In Italia consumiamo quasi l’intera produzione di melone
Osservando i numeri dell’Istat sull’import-export della frutta analizzata finora, un elemento risulta del tutto evidente: esportiamo verso il resto del mondo più che altro cocomero e lo facciamo in modo costante da anni sempre sopra la soglia delle 200 mila tonnellate. Anzi, nel 2018 queste sono state circa 300 mila, quasi la metà della produzione che nello stesso è stata, come già detto, di oltre 600mila tonnellate. L’import varia tra le 30 mila e le 40 mila, ma poco sposta rispetto al quadro generale caratterizzato dal fatto che non consumiamo internamente circa il 50% dei cocomeri prodotti.
Al contrario sul versante dei meloni, dopo dieci anni quasi ininterrotti di bilancia commerciale negativa, nel 2018 le esportazioni sono ripartite e hanno leggermente sorpassato le importazioni. Ma contano più o meno per la stessa quantità, circa 30 mila tonnellate e per questo sembrano annullarsi vicendevolmente. La produzione di melone che effettuiamo in Italia, quindi, resta quasi interamente dentro i confini nazionali, destinata al mercato interno.
Il vincitore
Nel resto del mondo dunque spopola il cocomero, vincitore assoluto a livello del mercato mondiale. Ma per noi italiani chi tiene banco è soprattutto il melone. Non solo in termini assoluti nei nostri terreni vengono coltivati per la maggior parte meloni, anche se lo scarto non è molto ampio, ma soprattutto tendiamo a mangiarceli tutti e ad esportarne davvero pochi. Quindi, almeno nella nostra classifica nazionale, non c’è dubbio che il derby ortofrutticolo veda come vincitore il piccolo e zuccherino frutto a pasta gialla, arancione o bianca, il melone.