Uniontown è una cittadina della Pennsylvania, una settantina di chilometri a sud di Pittsburg. Qui nell’aprile del 1967 Jim Delligatti, un imprenditore italo-americano che da dieci anni gestisce alcuni ristoranti fast food con il marchio McDonald’s, mette in menù per la prima volta un hamburger composto da “due polpette di carne di manzo, salsa speciale, lattuga, formaggio, sottaceti, cipolle e pane con i semi di sesamo” al prezzo di 45 centesimi di dollaro: è nato il Big Mac. Ma è solo dal 1968 che la novità viene introdotta in tutti i ristoranti della catena, facendo del 2018 il suo cinquantesimo compleanno.
La storia del Big Mac in 10 momenti chiave
Il successo del Big Mac è strepitoso, tanto che secondo quanto riportato dal New York Times all’epoca della scomparsa di Delligatti nel 2016, già nel 1969 questo particolare tipo di hamburger costituiva il 19% di tutte le vendite di McDonald’s. Il successo non è mai entrato in crisi e Big Mac è diventato anche un oggetto di culto. Di sicuro per Don Gorske, un consumatore seriale di questa pietanza, che nel 2016 è entrato nel Guiness dei primati perché dal 17 maggio del 1972 ne ha mangiato uno al giorno, per un totale di 28.788.
Piccole variazioni
Oggi il Big Mac può essere ordinato in tutti i ristoranti di McDonald’s nel mondo, ovvero in uno degli oltre 35 mila punti vendita sparsi in 119 paesi e territori del mondo. Il dato è aggiornato al 2017 e presto potrebbe salire a 121 con l’ingresso in Tunisia e Kenya, due Paesi africani che rappresentano l’ultima frontiera per la catena americana.
Nel corso degli anni ci sono state discussioni tra i diversi ristoranti sulla corretta ricetta e composizione del panino. Al punto che negli anni Settanta un ristoratore dell’Alabama, Max Cooper, ha inventato una filastrocca per ricordarla correttamente, diventando poi l’ossatura principale di uno spot americano di grande impatto (potete vederlo nella timeline all’inizio dell’articolo).
Oggi ci sono leggere differenze tra i Big Mac che vengono serviti nei diversi paesi, con McDonald’s che è stata attenta ad adattarsi al gusto locale. Così, per esempio, il Big Mac argentino risulta essere quello con meno calorie, mentre quello giapponese quello con il maggior apporto.
Lo stesso vale anche per il peso complessivo del panino, che oscilla tra i 234 grammi in Egitto e i 201 dell’Australia.
Big Mac come metro di paragone
Queste piccole differenze non intaccano la sostanziale omogeneità del Big Mac in tutto il mondo, al punto che nel 1986 la rivista inglese The Economist l’ha adottato come parametro per valutare il potere di acquisto nei diversi paesi in cui McDonald’s è presente. L’idea è che comprando ovunque lo stesso prodotto si possa valutare così il valore della moneta locale.
Il dato all’inizio del 2017 posizionava la Svizzera al primo posto in classifica con un costo del Big Mac equivalente a 6,76 dollari contro i 5,28 del prezzo americano. All’altro estremo della gamma c’era la Russia, dove si mangiava un Big Mac per 2,29 dollari.
Ma quanti Big Mac si mangiano nel mondo?
Se il Big Mac Index usa il celebre hamburger come parametro economico, più difficile è dire quanti ne siano venduti nel mondo. Già nel 1958, come racconta il sito di McDonald’s, erano stati venduti oltre 100 milioni di hamburger (quindi non solo Big Mac). Nell’aprile del 1994, un cartello che diceva che erano stati venduti oltre 99 miliardi di panini è apparso nei ristoranti. Da allora, però, McDonald’s ha smesso di aggiornare pubblicamente questo numero.
Un anno fa Marketplace, un’azienda che si occupa di analisi economico-finanziarie, ha provato a fare una stima. Basandosi sui numeri di un manuale interno di McDonald’s stesso che nel 2010 è circolato pubblicamente, vengono venduti 75 hamburger “al secondo per tutti i secondi di ogni minuto, di ogni ora, di ogni giorno di ogni anno”. Il che porta a 2,4 miliardi di hamburger l’anno (75 moltiplicato i 31.536 milioni di secondi che compongono un anno). Dal 1994 a oggi significano quasi 60 miliardi di hamburger.
In Italia, dove il consumo di Big Mac è più limitato rispetto per esempio agli Stati Uniti, dove viene consumata la gran parte degli hamburger (si stima in 50 miliardi l’anno il numero complessivo consumato negli USA), non è facile trovare statistiche a riguardo. Un’idea ce la possono dare i dati dell’Osservatorio Just Eat, che dal 2016 studia i trend del mercato del cibo a domicilio in Italia e che ha diffuso alcuni numeri per celebrare i 50 anni di Big Mac. Con la consapevolezza che questi non comprendono gli hamburger consumati direttamente nei ristoranti, anche di McDonald’s, proviamo a tracciare una mappa.
Il tipo di hamburger più consegnato nel 2018 è il cheeseburger, quindi un hamburger che oltre alla carne contiene anche formaggio, proprio come il Big Mac. Le dieci città che ne hanno ordinati di più sono soprattutto al nord, con Milano e Roma che si contendono la prima piazza.
Se prendiamo a riferimento il peso di un Big Mac come riferimento (circa 200 grammi), si può stimare in 8287 il numero di cheeseburger consegnati nella capitale, seguiti dagli 8242 di Milano. Se però non prendiamo in considerazione i numeri assoluti, ma parametriamo i valori sul numero degli abitanti, andando a calcolare il consumo di cheeseburger ogni 1000 abitanti, la classifica cambia completamente, con Bologna che diventa capitale del cheeseburger consegnato a casa nel 2018.
Ma quanto impatta sull’ambiente?
Visto il grande numero di hamburger che ogni anno si consumano nel mondo, a un prezzo contenuto come per il Big Mac, sorge la domanda sull’impatto ambientale che può avere la loro produzione. Anche in questo caso è difficile trovare dei dati, ma ci si può affidare a una stima realizzata dal Center for Alternative Technology nel Regno Unito, che ha calcolato quanta acqua sia necessaria per produrre un hamburger (la cosiddetta water footprint). I numeri sono derivati dai dati del Water Footprint Network e dall’Environmental Working Group, un gruppo di attivisti ambientalisti che si occupa tra le altre cose di agricoltura sostenibile. Si tratta di stime di qualche anno fa (2011) e che potrebbero essere quindi leggermente diverse dalla realtà di oggi. In ogni caso, permettono di farsi un’idea.
Un cheeseburger standard, che prevede 150 grammi di carne di manzo, servono quindi 2400 litri di acqua. Secondo gli esperti del CAT, infatti, 15.500 litri di acqua sono necessari per produrre 1 chilogrammo di carne di manzo senza ossa. Il che equivale a circa 2300 litri per polpetta di 150 grammi. I restanti 100 litri di acqua servono per produrre il pane, il formaggio e anche la carta con cui è avvolto il cheeseburger quando viene servito in un fast food.