“L’alfabetizzazione non consiste solo nel saper leggere, scrivere e fare di conto, ma è un contributo all’emancipazione di ogni essere umano e al suo completo sviluppo. Fornisce gli strumenti per acquisire la capacità critica nei confronti della società in cui viviamo, stimola l’iniziativa per sviluppare progetti che possano agire sul mondo e trasformarlo, e fornisce le capacità per vivere le relazioni umane. L’alfabetizzazione non è fine a se stessa, è un diritto fondamentale dell’uomo”. Lo dice la Dichiarazione di Persepoli, adottata dall’UNESCO nel 1975 e punto di riferimento per la Giornata Internazionale dell’alfabetizzazione che viene celebrata ogni anno l’8 settembre dal 1966. Intesa come strumento che contribuisce a combattere la povertà, la mortalità infantile e la disuguaglianza di genere, l’alfabetizzazione rientra tra gli obiettivi del programma “Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile” sottoscritto nel 2015 dai 193 Paesi membri dell’ONU.
Tema della giornata di quest’anno è stata “l’alfabetizzazione in un mondo digitale”: le tecnologie digitali permeano molte sfere della nostra vita e, se da un lato hanno le potenzialità di aprire nuove opportunità, dall’altro possono escludere da queste prospettive tutti coloro che non sono alfabetizzati. “Nella società digitale odierna il concetto di alfabetizzazione sta cambiando”, spiega Irina Bokova, direttore Generale dell’UNESCO nel messaggio lanciato per l’occasione, “ma nello stesso tempo la tecnologia può migliorare lo sviluppo dell’alfabetizzazione”.
In tutto il mondo ci sono ancora 750 milioni di adulti non alfabetizzati e 264 milioni di bambini che non hanno la possibilità di beneficiare dell’istruzione scolastica. Inoltre, all’interno della popolazione alfabetizzata molte persone giovani e adulte non possiedono le competenze necessarie per vivere a pieno nella società digitale e sul luogo di lavoro. “Diminuire questo divario di competenze è un imperativo in termini sia educativi sia di sviluppo”, afferma Irina Bokova.
Milioni coloro che non sanno leggere e scrivere
Gli ultimi dati raccolti dall’Istituto di Statistica UNESCO (UIS) parlano di un’alfabetizzazione dell’86% della popolazione adulta globale (dai 15 anni in poi) e di una una differenza del 7% tra i generi: l’83% della popolazione adulta femminile contro il 90% di quella maschile. Tra i giovani (15-24 anni) il tasso di alfabetizzazione è più alto (91%), e diminuisce il gap tra maschi e femmine, come si vede dal grafico.
Dei 750 milioni di persone non alfabetizzate nel mondo il 63% è costituito da donne. I numeri scendono considerevolmente nella fascia dei giovani dove si assottiglia anche la differenza di genere.
Nonostante i numeri siano ancora alti, il miglioramento nella fascia di età compresa tra i 15 e i 24 anni è considerevole: se 50 anni fa il 25% di questa fascia di popolazione non era alfabetizzata, al 2016 questa percentuale è scesa al 10%, che corrisponde a 102 milioni di giovani. Per raggiungere gli obiettivi del Programma per lo Sviluppo Sostenibile servono ulteriori sforzi al fine di garantire a tutti i giovani e a gran parte della popolazione adulta, sia maschile sia femminile, tutti gli strumenti per poter leggere, scrivere e fare di conto
L’alfabetizzazione nel mondo
Nell’Asia meridionale vive circa la metà della popolazione globale non alfabetizzata (49%). Questa percentuale scende al 27% in Africa subsahariana, al 10% in Sud-est asiatico, al 9% in Nord Africa e in Asia occidentale e intorno al 4% nei Caraibi e in America Latina. Meno del 2% del totale sono le persone analfabete in Asia centrale, Europa, Nord America e Oceania.
Si trovano in Africa Sub-sahariana e in Asia meridionale i paesi con un tasso di alfabetizzazione inferiore al 50%. Il Niger, che è il paese con il tasso di alfabetizzazione più basso, è sceso dal 28,7% nel 2005 al 15,4% nel 2012, seguito dal Ciad, che è passato dal 26% al 22,3% tra il 2015 e il 2016, e dal Sud Sudan (26,8% nel 2008).
La situazione è più incoraggiante per quanto riguarda i livelli di alfabetizzazione nei giovani (15-24 anni): il 91% contro l’86% della popolazione adulta, dato che riflette un incremento della scolarizzazione nelle nuove generazioni. Rimangono comunque bassi i livelli di alfabetizzazione in alcuni paesi dell’Africa subsahariana dove persistono problemi di accesso alle scuole, abbandono precoce e qualità dell’educazione.
Questioni di genere
A livello globale, la differenza di alfabetizzazione tra uomini e donne è del 7% negli adulti e del 3% nei giovani, come si vede nel primo grafico. La disparità è nulla o molto piccola in Asia centrale, Europa, Nord America, Sud-est asiatico, Caraibi e Latino America, ma è ancora molto evidente in Nord Africa, Asia occidentale, Asia meridionale e Africa subsahariana. In queste regioni del mondo la differenza arriva anche al 20%.
L’indice di parità di genere (GPI, Gender Parity Index), indicato nel grafico, è stato calcolato dividendo il tasso di alfabetizzazione femminile per quello maschile. Valori molto minori di 1 indicano una forte disparità di genere, mentre valori tra 0,97 e 1 indicano parità di genere in termini di alfabetizzazione.
Qual è la situazione in Italia?
Secondo i dati dell’UNESCO, in Italia, l’alfabetizzazione sfiora il 100%: nel 2011 il tasso di alfabetizzazione nella popolazione adulta corrispondeva al 98,8% e al 99,8% per i giovani tra i 15 e i 24 anni. La disparità di genere è nulla o quasi nulla nelle tre fasce di popolazione. L’indice di parità di genere (GPI) è pari a 1 nei giovani, a 0,99 negli adulti e a 0,98 nella popolazione anziana (dai 65 anni in poi).
Se si prendesse alla lettera la definizione di alfabetizzazione contenuta nella Dichiarazione di Persepoli (riportata all’inizio dell’articolo), l’alfabetizzazione non dovrebbe limitarsi alle capacità di leggere, scrivere e fare di conto, ma dovrebbe rappresentare un quadro più complesso con vari livelli di competenza. Per dare l’idea di questa complessità e per definire un profilo in base alle capacità di portare a termine con successo le attività della vita quotidiana, sono stati fissati 6 livelli: il livello inferiore a 1 e il livello 1 (low skilled) indicano competenze modestissime, il livello 3 è l’elemento minimo per un inserimento positivo nella società e nel lavoro, e i livelli 4 e 5 (high skilled) indicano una piena padronanza di competenze.
Da un’indagine Ocse-Piaac pubblicata nel 2016 risulta che in Italia il 28% delle persone tra i 16 e i 65 anni appartiene ai primi due livelli: sono i cosiddetti analfabeti funzionali, ovvero adulti che sanno leggere e scrivere, ma che non sono in grado di usare queste capacità nella vita quotidiana e che spesso non comprendono i linguaggi delle nuove tecnologie. Gli analfabeti funzionali, per esempio, potrebbero non essere in grado di risalire a un’informazione di base contenuta in un sito web, come il numero di telefono nella sezione “Contattaci”. Con il 28% di analfabeti funzionali, l’Italia si colloca al penultimo posto in Europa, insieme alla Spagna, e al quartultimo nel mondo, rispetto ai 33 paesi analizzati.
In Italia, l’analfabeta funzionale ha più di 55 anni anni, non è diplomato ed è disoccupato, oppure è molto giovane non studia né lavora, può avere genitori con un titolo di studio di secondaria inferiore, e può aver passato l’adolescenza in una famiglia con meno di 25 libri.
Il profilo dei low skilled aumenta con l’aumentare dell’età, mentre quello degli high skilled è molto poco rappresentato in tutte le fasce di popolazione. Come si legge nel Rapporto nazionale sulle competenze degli adulti: “a parte i possibili effetti dell’invecchiamento, il legame tra competenze ed età è sicuramente influenzato da diversi fattori quali la carriera scolastica, la transizione scuola-lavoro, la carriera lavorativa oltreché lo stile di vita e le attività quotidiane”.
“Capire meglio il tipo di alfabetizzazione richiesto in un mondo digitale, con lo scopo di costruire società più inclusive, eque e sostenibili, è il fulcro della riflessione odierna”, commenta il direttore Generale dell’UNESCO Irina Bokova, “ognuno dovrebbe essere in grado di sfruttare al meglio i benefici della nuova era digitale, in nome dei diritti umani, del dialogo e di uno sviluppo più sostenibile”.