AGI - Fino al 1 dicembre Genova è protagonista del festival diPassaggio che nasce con l’idea di superare il limite proprio di molti festival, che non instaurano un dialogo con il territorio capace di andare oltre i giorni dell’evento e si rivolgono quindi a un pubblico, più che a una comunità. “Trasformazioni” è il tema di questa seconda edizione, scelto per ragionare sui modi in cui la letteratura parla di questo tempo in cui tutto, continuamente, cambia.
Gli incontri diPassaggio raccontano che le trasformazioni sono ovunque: in quei luoghi, apparentemente immobili e tanto minacciati che sono le librerie; in quei volti umani che sono diventati, con la pratica dei selfie, la prima destinazione dei nostri stessi sguardi, nelle derive del progresso, nel nostro rapporto con il corpo, con l’identità, con la morte. Le trasformazioni riguardano il genere sessuale, il nostro rapporto con la memoria e con i sentimenti.
Lo scrittore e sceneggiatore Daniele Mencarelli, autore del libro “Tutto chiede salvezza” oggi anche popolare serie Netflix parla con AGI di “trasformazioni” e di come il tema sia centrale nel suo ultimo romanzo “Brucia l’origine” uscito a ottobre per Mondadori.
Trasformazioni è il tema portante del festival diPassaggio di Genova. Cosa le fa venire in mente questa parola?
“Secondo me è uno dei pochi sinonimi calzanti rispetto al concetto di esistenza, questa continua evoluzione dell’uomo dentro la realtà e dentro la realtà, dentro gli incontri. Se vogliamo è trasformazione anche il nucleo fondante della letteratura. Trasformazione, vita e letteratura sono secondo me tre parole che si possono accostare con grande sincerità”.
Nei suoi libri, si parla molto di percorsi personali, talvolta molto dolorosi. Quanto la letteratura può aiutare a ritrovarsi o a sentirsi meno soli di fronte a cambiamenti anche spaesanti?
“Faccio un distinguo fondamentale. La letteratura, per quanto non salverà mai il mondo o fermerà una guerra, può dare un contributo importante per la crescita di un individuo e quella che noi leggiamo. Per me è stata fondamentale la poesia che ho letto tra i 15 -16 anni e che non ho mai smesso di leggere. Mi riferisco a quell’esercizio della lettura come esercizio fondamentale di conoscenza di se e del mondo attraverso gli altri. La scrittura più essere utilizzata come strumento di autoterapia, di indagine. Per me la scrittura non è mai stata una forma di auto terapia, ma è sempre stato un gesto che inseguiva l’altro. La letteratura che aiuta l’altro è quella che abbracciamo da lettori entrando nello spazio e nel tempo di altri esseri umani”.
In “Brucia l’origine”, ultimo suo romanzo quanto è presente il tema della trasformazione?
“Nel caso di Gabriele, il protagonista, la trasformazione che lui ha compiuto è positiva. Lo ha portato a una maggiore disponibilità economica, a più cultura, a maggiore affermazione personale. Nel momento in cui torna nel suo quartiere d’origine questa trasformazione, per paradosso, non lo aiuta a vivere meglio il rapporto con la sua origine, ma si trasforma per lui in ostacolo e vergogna. La trasformazione è qualcosa che dobbiamo accogliere e che non possiamo censurare. Se la censuriamo, come fa Gabriele, rischia di diventare un elemento logorante.
In questo ultimo lavoro, è ricorrente “il pranzo della domenica”. I riti, le tradizioni, che ruolo assumono in un mondo in continua evoluzione, che pare andare sempre più veloce?
I riti sono importanti se non diventano la reiterazione piatta e anacronistica di un’abitudine che manteniamo solo per convenzione. Gabriele tornando a Roma ritrova i suoi amici che non vede da otto anni e li ritrova dentro la stessa identica vita che facevano da ragazzi. Loro la difendono in maniera più o meno consapevole. In un modo che non li ha mai visti dentro una possibilità di trasformazione. La sfortuna di non trovare mai la spinta, anche solo per un moto di inquietudine, di cambiare, di trasformarsi. I suoi amici sono rimasti identici e difendono questa immobilità come un valore. Gabriele invece ha fatto tanto, ma in questi scambi non trova un punto di equilibrio. Spesso è così, chi vive dentro tanti mondi diversi e chi invece rimane fermo per tutta la vita, queste due forme di esistenza finiscono per diventare inconciliabili tra loro. Trovare un punto di equilibrio diventa difficile”.
Lei da che parte sta?
“Io sto dalla parte di chi vive la trasformazione con tutti i rischi annessi e connessi. Di chi torna alla propria origine e magari vivere la fatica di chi trasformandosi si è allontanato da quello che si è lasciato alle spalle”.
Spesso a fare da teatro alle sue storie ci sono i quartieri di Roma. Cosa trova di affascinante in queste periferie?
“Il quartiere di “Brucia l’origine” è l’Appio-Tuscolano che conosco bene fin da ragazzino. Quel quadrante è un po’ la cartina tornasole di un paese intero perché dal secondo dopo guerra è un quartiere che lentamente è cresciuto. Via Lemonia, il Parco degli Acquedotti negli anni ’70 era la seconda più grande baraccopoli di Roma. L’intera città era fatta di accampamenti. Negli ’90 via Tuscolana era una delle vie commerciali più grandi d’Europa e oggi quel quartiere sta vivendo la parabola discendente di impoverimento. Oggi via Tuscolana fa malinconia a chi se la ricorda nel passato. La redistribuzione della ricchezza che si sta contraendo, con i poveri che continueranno a crescere. E poi ci sono quei quartieri che sono oltre il Grande Raccordo Anulare presentano una Roma ancora differente. L’Appio Tuscolano è una linea di confine”.
“Tutto chiede salvezza” oggi è una serie Netflix di successo. Come è stato passare dal libro al piccolo schermo?
“Ho deciso da subito di rimanere dentro questa trasformazione perché avevo a cuore il tema di fondo che è quello del disagio psichico. Avendola vissuta da dentro come tutte le trasformazioni non mi ha scosso più di tanto. Certo poi il giudizio del pubblico l’ho vissuta con grande tensione. Però l’adattamento da lingua letteraria a lingua seriale l’ho vissuto con grande partecipazione e passione, ma da dentro. Questa è stata una grande fortuna”.