AGI - Nel Bollettino della vittoria del 1918 che nel marmo delle lapidi in tutti i municipi d’Italia fissò la storia della «gigantesca battaglia ingaggiata il 24 dello scorso ottobre» culminata nel successo decisivo di Vittorio Veneto che pose fine a «41 mesi» di guerra contro l’Austria-Ungheria, il comandante supremo Armando Diaz tramanda che parteciparono 51 divisioni italiane, 3 britanniche, 2 francesi, un reggimento americano, e anche una divisione «czecho-slovacca».
Pochi in Italia serbano la memoria di questa unità che oggi, anche per la grafia, sembra un tocco esotico in quel gigantesco scontro di potenze che portò a un sovvertimento epocale e a quello della cartina europea senza risolvere peraltro molti dei problemi che l’avevano generata. Il 28 ottobre 1918 era stata proclamata l’indipendenza della Cecoslovacchia, dalle ceneri dell’Impero austro-ungarico, a opera di Tomáš Garrigue Masaryk: uno Stato che non era mai esistito, che metteva insieme il Regno di Boemia, con Moravia e Slesia finite sotto gli Asburgo tre secoli prima, e la Slovacchia parte del Regno d’Ungheria. Ma i cechi e gli slovacchi, arruolati nelle armate imperiali, combattevano da anni dall’altra parte della barricata in nome dell’irredentismo slavo.
Al fianco dell’Intesa per conquistare il diritto a una Patria
In migliaia si erano schierati per l’Intesa e contro gli imperi centrali, andando a costituire quelle che diventeranno le Legioni cecoslovacche: oltre 42.000 emigrati nell’esercito americano, 71.000 disertori e prigionieri dalla parte delle armate dello Zar e poco più di mille nelle fila della Serbia per affinità slava, un migliaio nell’esercito inglese, quasi diecimila con la Francia, e quasi diciottomila con l’uniforme del Regio Esercito italiano ma con mostrine nazionali.
L’iniziale diffidenza delle autorità militari italiane ad avvalersi dei cecoslovacchi viene superata nella primavera del 1916 grazie all’abilità del generale slovacco Milan Rastislav Štefánik, uno dei padri della Patria, e così l’anno seguente prende corpo un’unità organica che nel 1918 diventa un autentico esercito formato da sei reggimenti e articolati in due divisioni (6ª e 7ª).
Il presidente del Consiglio Vittorio Emanuele Orlando il 21 aprile 1918 firma una “Convenzione fra il Governo italiano e il Consiglio Nazionale dei paesi Cecoslovacchi” riconoscendo i legionari come corpo militare dello Stato Cecoslovacco e inquadrandoli nel Regio Esercito in due divisioni affidate al comando del generale italiano Andrea Graziani, noto in precedenza per le sue brutalità nell’imporre la disciplina, che non mancherà di ridarne prova facendo fucilare 12 disertori il 16 giugno 1918 e suscitando le vive proteste di Štefánik.
Se presi prigionieri dagli austro-ungarici venivano impiccati come traditori
Il battesimo del fuoco dei legionari avviene a Losson nel Basso Piave con la Battaglia del Solstizio, il 19-20 giugno 1918, al fianco degli italiani. I volontari si battono con riconosciuto valore e sono quelli che rischiano di più: in caso di cattura, nonostante siano combattenti regolarmente inquadrati e in uniforme, per loro non ci sarà alcuna pietà, in quanto considerati traditori. Le autorità austro-ungariche applicheranno per loro lo stesso trattamento riservato agli irredenti Cesare Battisti e Nazario Sauro: la forca.
E proprio a giugno sedici prigionieri di guerra vengono processati e giustiziati per alto tradimento. Quelli catturati a Fossalta di Piave sono condotti a Calvecchia di San Donà dove vengono impiccati ad alberi di ippocastano e pioppo. Bedrich Havlena è giustiziato a Calvecchia su un patibolo realizzato con un palo del telegrafo. Il palo del braccio aveva ceduto, ma contrariamente a ogni consuetudine che prevedeva la grazia, il Tribunale militare austriaco aveva fatto ripetere la procedura poco dopo.
Il corpo era stato lasciato appeso come monito per quasi cinque ore. Stesso destino per quattro dei cinque legionari presi prigionieri il 21 settembre a Doss Alto, alle pendici del Monte Baldo: processati a Ceniga per diserzione dall’esercito austroungarico e alto tradimento, sono impiccati a Prabi. Sono ricordati da un monumento, e altri ne sono stati realizzati ad Arco, a Riva del Garda e a Pieve di Bono.
Monumenti e lapidi in Italia, un capolavoro architettonico a Praga
I nomi delle località dove combatterono i cecoslovacchi nella prima guerra mondiale sono scolpite su pietra sulla superba facciata della Banca dei legionari di Praga, monumentale edificio cubista progettato da Josef Go?ár e i cui interni riccamente decorati rappresentano un mirabile esempio di architettura del Novecento. Non va sottaciuto che durante il periodo comunista in Cecoslovacchia i legionari saranno osteggiati e guardati con sospetto, in particolare quelli che in Russia avevano combattuto contro i bolscevichi.
Nell’anniversario della vittorio e delle Forze armate, il 4 novembre, vanno ricordati anche i coraggiosi soldati cecoslovacchi che diedero il loro contributo all’Italia per completare il processo risorgimentale dell’unità nazionale e che si aprirono a Vittorio Veneto quella che chiamarono «la via per Praga» e conquistarsi una Patria. Con le uniformi degli alpini sfilarono orgogliosamente in piazza Venceslao, bandiere al vento, alla destra dell’automobile con il primo presidente Masaryk. Il generale Štefánik, diplomatico, astronomo e umanista slovacco, morirà in un incidente aereo il 4 maggio 1919 nei pressi di Bratislava.
Il ministro della guerra volava da Campoformio a Praga su un Caproni con equipaggio italiano: il sottotenente pilota Giotto Mancinelli Scotti, il sergente pilota Umberto Merlino e il motorista Gabriele Aggiunti. Sono sepolti assieme nella città natale di Štefánik.