AGI - La Sicilia "accetta, riceve la modernità, perché quello siciliano è un terreno vergine. I contadini di Gibellina, quando con una certa ironia i cosiddetti turisti colti chiedevano loro cosa capissero di quest’arte, di queste opere, rispondevano che no, loro non capivano, non avevano gli strumenti, però provavano un’emozione profonda, incantatrice. È lo stesso processo che prova il bambino di fronte all’arte contemporanea: gli eccita la fantasia, soprattutto la libertà di fantasia": pensare a Gibellina, rinata dalle macerie e oggi premiata come Capitale della cultura contemporanea 2026, significa ricollegarla alle parole (Raccolte da Renato Quaglia in una 'Conversazione' per l'editore Navarra e poi per 'Il museo delle trame mediterranee, un catalogo ragionato' Cricd Palermo) di un siciliano straordinario della cultura europea: Ludovico Corrao.
Avvocato democristiano, milazzista, poi indipendente nelle liste del Pci e infine approdato al Pds ma scartato dall'Ulivo nelle elezioni del 2001, Corrao è stato soprattutto, e a lungo, il sindaco che subito dopo il terribile terremoto che distrusse il Belice nel 1968 chiamò a raccolta in quella città esponenti tra i più importanti dell'arte contemporanea per dar vita e concretezza a quella che è stata definita "l'Utopia Gibellina".
È la figlia Francesca a raccontare per il catalogo del Museo delle trame mediterranee cosa accadde nell'avvocato che aveva difeso Franca Viola, la prima donna italiana a rifiutare il matrimonio riparatore, e le vittime di mafia: "Mio padre ci porta via di notte da Palermo, e scappiamo con l’amico il regista Pietro Carriglio e sua sorella Paola. Arrivati a Camporeale scopriamo che l’epicentro era proprio nel Belice; mio padre ci lascia per raggiungere Gibellina. Dopo un mese di precarietà nella casa di campagna, al diffondersi della meningite, andiamo a Roma, ospiti di Guttuso. Corrao rimane con i terremotati per mesi tra le macerie, rivivendo il dramma della guerra, e l’evento trasformò la sua vita in modo radicale.
Il centro di tutti i suoi interessi era diventato la ricostruzione del paese, un evento epocale per la storia del territorio. La classe politica era impreparata e distratta, mentre Corrao era frenetico, organizzava marce e trascinava un gruppo consistente di terremotati sino a Roma, comprando anche cravatte a tutti per farli entrare in massa a reclamare i loro diritti in Parlamento. Dopo anni di battaglie ottenne finalmente il supporto finanziario e l’appoggio necessario per fare sì che il paese avesse una nuova localizzazione, vicino all’autostrada e alla ferrovia, in un’enclave tra Salemi e Santa Ninfa".
Il sisma portò "lo scompiglio anche nella sua concezione della vita e influenzò la sua visione del mondo, tanto che alla sua sensibilità per le forme armoniose degli artisti figurativi si venne affiancando la forza di una nuova creatività, costruita sulla scomposizione e l’astrazione. Corrao conosce e inizia a frequentare Pietro Consagra, Carla Accardi, Antonio Sanfilippo, Giulio Turcato, Piero D’Orazio, Achille Perilli e Ugo Attardi. Con loro inizia una collaborazione che contribuisce ad arricchire il patrimonio artistico della città di Gibellina. Sin dagli inizi il progetto di rinascita scaturisce sotto gli auspici degli artisti, e Corrao cerca in particolare la collaborazione di Consagra, e commissiona la Chiesa madre a Ludovico Quaroni".
Da allora la Stella di Gibellina, il Cretto di Burri e altre opere e rassegne, come le Orestiadi, sono il punto di riferimento di una Sicilia che non si arrende, ma anzi si trasforma il centro del Mediterraneo in centro della Modernità: "Questo - disse Corrao a Quaglia - è la Sicilia. È stata sempre così nella sua storia, in ogni sciagura ha tentato sempre di rigenerarsi attraverso la bellezza di quel tempo, non ricreando copie del passato, ma leggendo i germi del futuro nel suo passato, perché ogni passato contiene i germi del futuro, perché l’arte è tale in quanto si proietta in avanti, non in quanto si chiude in se stessa. Chi non capisce Consagra non ha capito tutta l’arte antica in Sicilia. Come chi non capisce Picasso non ha mai capito Raffaello e Giotto".