AGI - Montecarotto è un piccolo comune collinare in provincia di Ancona dove alla fine di luglio del 1944 divampò una furiosa battaglia che vide il successo di un manipolo di patrioti italiani della Brigata Maiella su agguerriti reparti tedeschi che volevano ricacciarli indietro, rappresentando la punta di lancia dello schieramento alleato sul fronte adriatico. Proprio il 26 alcune squadre della Maiella, che combatteva con uniforme inglese inquadrata nel II Corpo d’armata polacco del generale Anders, avevano infatti superato il fiume Esino incuneandosi nelle linee tedesche a Castelplanio, Poggio San Marcello e Montecarotto. I maiellini agli ordini del capitano Domenico Troilo, in organico al 12° reggimento ulani di Podolia della 3ª divisione di fanteria Carpazia, si erano subito trincerati nel paese piazzando strategicamente le mitragliatrici pesanti in attesa dell’immancabile attacco della 71ª divisione di fanteria della Wehrmacht.
Sotto il fuoco dei mortai e dei cannoni
Un primo assalto di piccole unità viene respinto, ma poi sulla zona presidiata dai volontari abruzzesi si scatena un incessante tiro di cannoni e mortai. L’intero 27 luglio è scandito dai bombardamenti di artiglieria. Un reparto di motociclisti paracadutisti della Nembo del ricostituito Esercito italiano è a rischio di accerchiamento ed è costretto a ripiegare. I maiellini, invece, pur senza viveri e stremati da due giorni di scontri, restano al loro posto. Sono pochi, una trentina appena, e allora il comando invia in fretta e furia un altro plotone, perché Montecarotto non può essere perduta. Nella notte i tedeschi lanciano un assalto di sorpresa che viene sventato e respinto alla baionetta.
L’inganno dei repubblichini
Il plotone di rinforzo viene attirato in una trappola dai fanti della Wehrmacht e dai militi repubblichini che rispondono in italiano alla richiesta della parola d’ordine. La battaglia si accende anche nei pressi dell’ospedale, dove alcuni tedeschi sono riusciti a entrare ma sono stati annientati dal lancio di granate dall’alto della scalinata e dal fuoco di fucileria. Solo sette maiellini riescono a unirsi ai compagni, mentre gli altri devono ritirarsi a Poggio San Marcello portandosi dietro cinque feriti. Il vice comandante Nicola Piccioli è caduto prigioniero.
Ma l’attacco tedesco è fallito a prezzo di gravi perdite e nonostante la superiorità numerica. In appena 35 difendono le posizioni, anche se il quadro generale talmente critico che i comandi alleati dispongono un piano di ripiegamento. Verso mezzanotte cessa il martellante fuoco d’artiglieria e la fanteria tedesca avanza per chiudere la battaglia.
I razzi illuminanti per sventare l’attacco in forze
Sotto il fuoco nemico, però, i patrioti avevano fatto incetta di munizioni dalle giberne dei caduti e scavato pure una trincea nei pressi del cimitero da dove, al riparo, possono cogliere tutte le mosse tedesche. Sul campo di battaglia vengono allora lanciati i razzi illuminanti e i maiellini lo spazzano con le armi automatiche e il lancio di granate. I tedeschi non riescono a sfondare la prima linea e neppure ad aggirarla perché una piccola squadra di patrioti mette in fuga un’intera colonna colta allo scoperto. Sparano nuovamente i mortai fino all’alba del 29 e un nuovo attacco si infrange contro la tenacia della Brigata Maiella. Poi ancora l’artiglieria, per l’intera giornata, ma solo per la rabbia di non essere riusciti ad avere ragione di quei soldati con il tricolore al bavero invece delle stellette.
Nella battaglia cade Amleto Contucci, operaio di 35 anni di Sulmona, e Tarcisio Tassi, 22 anni, contadino di Castelplanio; il sergente Giuseppe Bianchi, meccanico di 22 anni di Vestone, è stato ferito gravemente e recuperato dal comandante Domenico Troilo con l’aiuto di alcuni volontari, ma in ospedale non riuscirà a sopravvivere alle lesioni provocate dalle schegge: presago della fine, le sue ultime parole saranno per la madre, la famiglia e la fidanzata. Sarà decorato alla memoria di medaglia d’oro al valor militare alla memoria. Per i suoi compagni, però, non è ancora finita. Alle tre del 30 i paracadutisti tedeschi e i repubblichini lanciano un attacco in forze, con l’appoggio dell’artiglieria.
La proposta di resa viene respinta
Gli esausti patrioti danno fondo alle ultime energie fisiche e nervose e alle residue munizioni. Respingono la proposta di resa e ingaggiano battaglia all’ospedale, dove tutti i feriti che sono in grado di maneggiare un’arma sparano assieme ai volontari e i civili e il personale ricaricano freneticamente i caricatori con i colpi. La vicina vallata con i campi di granturco è investita dal fuoco delle armi automatiche perché cela l’avanzata dei tedeschi. Lo scontro è furioso. Anche il quarto tentativo fallisce e anche stavolta i tedeschi non possono far altro che tirare su Montecarotto con i mortai per coprire la ritirata definitiva.
Gli esausti patrioti della Maiella vengono rilevati da ben cinque compagnie della Nembo, e questo dà un’idea precisa dell’impresa di appena due plotoni. Per loro i complimenti dei soldati e dei comandanti alleati: in quattro giorni e quattro notti hanno scritto una splendida pagina della guerra di liberazione, che all’epoca ebbe vasta eco nazionale e che oggi è inutile cercare sui libri di storia perché la battaglia di Montecarotto non c’è.
La medaglia d’oro al valor militare
La Brigata Maiella perse tre uomini, ebbe nove feriti e un ufficiale prigioniero, ma inflisse oltre quaranta caduti ai tedeschi e uno smacco doloroso. Grazie alla tenacia dei patrioti abruzzesi fu possibile il transito sicuro dei mezzi corazzati del II Corpo polacco e a Jesi si realizzò il contatto tra le unità inglesi e quelle italiane del Corpo italiano di liberazione, per poi ricominciare l’avanzata verso il fiume Metauro. L’imbattuta Brigata Maiella di Ettore e Domenico Troilo è non solo la formazione col più lungo ciclo operativo e l’unica ad aver combattuto fuori dal territorio di costituzione per di più inquadrata nell’8ª Armata britannica già a dicembre 1943, ma anche l’unica la cui bandiera di guerra è decorata di medaglia d’oro al valor militare, oggi conservata al Museo delle bandiere del Vittoriano.