P onte tra Occidente e Oriente. Tra culture, dinastie, religioni, lingue, usanze. Se la Puglia è tutto questo, c’è un posto che la esprime davvero. Un posto e un monumento dove il sincretismo domina e dove la forma - bellissima - è sostanza. Parliamo di Castel del Monte, la reggia medievale di Federico II di Svevia, sovrano del Sacro Romano Impero tanto carismatico e geniale da essere chiamato “Stupor Mundi”.
Della saggezza, della cultura, dell’esperienza, della magnificenza del figlio di Enrico VI di Svevia e di Costanza d’Altavilla il colosso Castel del Monte dice molto, a partire dal suo umanesimo.
Alto su una collina delle Murge, isolato, vedetta del territorio circostante, epifania inattesa (così come la Fortezza Bastiani de Il Deserto dei Tartari) è commistione di architetture romaniche e gotiche, arabe e classiche. Riflette in sé il mondo conosciuto nella metà del XIII secolo: il nord Europa (la Svevia degli Hohenstaufen) e il vicino Oriente meta delle Crociate; la Francia e la Sicilia, i normanni, i latini, gli arabi, i cristiani e i musulmani. Perspicuo e carismatico (è nella lista del Patrimonio Mondiale Unesco ed è stato raffigurato nella moneta da un centesimo di euro) e insieme fitto di misteri.
Anche a questa ambiguità deve il suo fascino (è il trentesimo sito italiano più visitato). Una serie di interrogativi che partono dal suo anno di costruzione e dal suo architetto. In un solo documento coevo, del 29 gennaio 1240, se ne parla: allorché Federico II dispone l’acquisto di calce, pietre e materiali edili necessari alla costruzione di un maniero sul luogo della distrutta abbazia di Santa Maria del Monte. L’imperatore usa la parola “actractum” e su di essa si sono accapigliati fior di esegeti: può riferirsi sia alle fondamenta che al lastrico di copertura, ovvero parlare dell’avvio dei lavori o della loro conclusione.
La bilancia pende in favore di quest’ultima ipotesi, tanto più che soltanto dieci anni dopo – il 13 dicembre 1250 - nella foggiana Torremaggiore chiuse per sempre gli occhi il cinquantaseienne Stupor Mundi. Duecento chilometri avrebbe dovuto percorrere, a cavallo, per raggiungere il maniero dove un anno prima la figlia naturale, Violanta, era stata impalmata da Riccardo, conte di Caserta. Una costruzione a sua immagine, al punto che probabilmente fu proprio lui a disegnarlo. Magione per le battute di caccia o fortezza militare; tempio del sapere per dedicarsi, appartato, alle discipline amate – matematica, geometria, astronomia; perfino, azzardano molti, hammam, in memoria di quelli conosciuti in Oriente, il che spiegherebbe la presenza di tante cisterne, di canalizzazioni, di stanze da bagno, tra più antiche nella storia dell’architettura.
Su tutto, incuriosisce la forma del colosso. In primis, la ricorrenza del numero 8. Ottagona la pianta generale, idem per otto le torri, una ad ogni spigolo, e così pure nel cortile interno. Dall’alto, sembra una corona, quelle numerose cinte dal sovrano, re di Sicilia, dei Romani, del Sacro Romano Impero, di Gerusalemme conquistata senza colpo ferire nella Sesta Crociata. Ma l’ottagono suggerisce anche altro: è forma intermedia tra quadrato (la Terra), e cerchio (il Cielo), dunque allude al passaggio dall’una all’altro; ottagone le cupole della cappella palatina di Aquisgrana, dove fu incoronato imperatore nel 1215, e della Rocca di Gerusalemme. Per non dire che l’8, posto orizzontalmente, è simbolo dell’infinito.
Un’ossessione, comunque. L’8 aprile e l’8 ottobre (ai suoi tempi ottavo mese dell’anno) un raggio di sole entra da una finestra nel lato sud orientale e attraverso un’altra, interna, va a illuminare un bassorilievo collocato nel cortile. E otto le foglie d’acanto nei capitelli delle colonne che abbelliscono le sale interne. Gli accorgimenti costruttivi sembrano in molti altri sensi un libro delle allusioni. Cinque camini e cinque cisterne sono collegati, e viene in mente la pagina del Vangelo di Luca: “…oggi vi battezzo con l’acqua ma verrà il giorno in cui vi battezzerò con il fuoco…”. I due leoni di pietra sul portale d’ingresso, l’uno rivolto verso l’altro, guardano i punti dell’orizzonte nei quali il sole sorge nel solstizio d’inverno e in quello d’estate. E se il superiore dei due piani ha al centro di ciascun lato una bifora, uno solo ha una trifora, ed è quello rivolto ad Andria, il centro principale del territorio.
Ci parla, dunque, a Castel del Monte, lo svevo-siciliano nipote di Federico Barbarossa, due volte scomunicato dal Papa perché ne voleva limitare il potere temporale. E chissà se l’intreccio di segni, l’appeal esoterico non abbia attirato l’attenzione fosca di Himmler, il capo delle SS. Perché il nazismo si nutrì di miti e riti per accreditare scientificamente e storicamente la supremazia della razza ariana. Disseminato di simboli è il Castello di Wewelburg, in Renania Vestfalia, fortezza in cima a una collina edificata nell’anno Mille e che il fedelissimo di Hitler restaurò per insediarvi, nel 1933, la Ahnenerbe, la scuola ideologica degli ufficiali delle SS.
Stuzzicato, in primis, dalla forma a triangolo acuto, ciascuno con torrione, assimilabile a una lancia, come quella con la quale Longino trafisse il costato di Gesù. Qui ricorre il numero 12 (i cavalieri della Tavola Rotonda, gli Apostoli, i mesi dell’anno, i segni dello Zodiaco). E archeologi nazisti alla ricerca dell’Eredità Ancestrale compirono spedizioni in tutto il mondo, fino al Tibet, per trovare reperti che accreditassero l’originaria presenza degli ariani. In Italia con tappe in Val Camonica, credendo di rinvenire graffiti di rune nordiche, in Calabria per rintracciare la tomba di Alarico, in Sardegna, a Capri e in numerose altre tappe rimaste segrete.
Ma il groviglio di leggende non offuschi l’emozione di guardare Castel del Monte. Fuori, elegante nell’uso dei materiali. Il beige della pietra calcarea, che vira al rosato quando il sole si leva o tramonta, la breccia corallina che aggiunge una nota di rossastro, l’orientale marmo venato che specie all’interno era profuso, e del quale si fece man bassa (sculture, suppellettili, decori) a partire dal Settecento, dopo l’abbandono da parte dei conti di Ruvo e l’insediamento temporaneo di pastori, briganti, profughi politici. Nei torrioni, le scale a chiocciola sfidano alla salita, osservando attraverso bifore e feritoie il paesaggio ora brullo ora coltivato ad alberi bassi. Nella grazia del portale d’ingresso, che mischia forme classiche all’arco a sesto acuto del gotico. Nel cortile interno, serrato negli otto lati, dove sembra di trovarsi in un pozzo (nel Medioevo simbolo anch’esso: di conoscenza) e dal quale l’azzurro del cielo scende come da un oculo, molto più grande ma suggestivo quanto quello, a Roma, del Pantheon.
Forme tanto assolute e polisemantiche possono facilmente coniugarsi con la contemporaneità. E infatti Castel del Monte è stato anche passerella di una sfilata di moda, quella della collezione Gucci 2022-2023. La scelta è venuta da Alessandro Michele, nel suo ultimo anno di lavoro per la maison fiorentina. Lo hanno ispirato le cosmogonie, l’afflato filosofico, le divine geometrie che intrigavano il cavaliere medievale con la corona. Insieme, lo stilista ha tratto input da Walter Benjamin e Hannah Arendt, entrambi in fuga dalla Francia occupata dai nazisti: “Benjamin è un collezionista di citazioni”, ha detto, pensando all’enciclopedico Federico II. In omaggio al quale ha creato abiti impreziositi da costellazioni ricamate, tagli geometrici, intarsi, strisce.
I mille universi dello Stupor Mundi continuano a emozionare. Alla sua morte il figlio Manfredi, futuro re di Sicilia, scrisse al fratello Corrado IV: “Il sole del mondo si è addormentato, lui che brillava sui popoli, il sole dei giusti, l’asilo della pace”. Castel del Monte dorme adagiato come un gigante sulla collina, il sole ne plasma la forma di ora in ora, di stagione in stagione. Così le antiche mura vibrano di vita.