AGI - Scarto di direzione letteraria e di editore per Chiara Valerio, appena tornata nelle librerie per Sellerio con ‘Chi dice e chi tace’. In apparenza strutturato come un giallo, il nuovo libro della scrittrice pontina sembra porsi nel solco della recente produzione dell’editore dalle copertine a sfondo blu anche per la forte connotazione geografica, ma poi finisce per sorprendere il lettore nel suo non essere in realtà legato ad altro genere che quello del puro romanzo. In cerca di maggiori lumi su questo ingannevole quanto interessante gioco narrativo l’AGI ne ha parlato proprio con Chiara Valerio.
In ‘Chi dice e chi tace’ c’è una forte connotazione ambientale legata alla provincia italiana ed uno schema narrativo da noir, ma in concreto il risultato è strettamente letterario: come nasce questo esperimento?
Mi piaceva utilizzare il noir per raccontare l'avventura interiore di un personaggio. Una donna che fa l'avvocato, di nome Lea Russo, vive e lavora felicemente a Scauri, un posto né bello né brutto sul litorale pontino. Questa donna, a un certo punto, trova logicamente inaccettabile che Vittoria, un'altra donna che viveva a Scauri da venti anni ed era solita nuotare ogni giorno, sia morta nella propria vasca da bagno, affogata. Una domenica. La questione interessante, secondo me, è che ci attacchiamo alla logica quando non siamo pronti a confessarci che qualcosa di più profondo, più irrazionale ci ha toccato. Lea non vuole davvero capire perché Vittoria è morta, o forse sì, anche, ma soprattutto vuole capire come lei stessa ha vissuto accanto a Vittoria e quanto c'era di Vittoria oltre ciò che ha visto. Che lei e tutto il paese hanno visto. In questa ricerca che in fondo parte da una mancanza di coraggio - Lea non si dice che le dispiace della morte di Vittoria, si dice che non capisce perché è avvenuta – la protagonista approda a un'altra ambiguità, quella del desiderio. Siamo tutti ambigui nel nostro desiderare. Però non si spaventa, nonostante tutte le sue certezze familiari, sentimentali e sociali vacillino.
La scelta di Scauri come quinta della vicenda - che replica quella effettuata nel 2010 per ‘Spiaggia libera tutti’ (Laterza) - ha il senso di un ritorno alle origini?
Anche ‘La gioia piccola d'essere quasi salvi’ (Nottetempo, 2009) era ambientato a Scauri. Credo di aver sempre scritto di questo luogo fino a quando nella mia vita non è arrivata Venezia. Dunque no: direi che per me è sempre un restare nelle origini. Sempre lì con le casse di terra che il Conte Dracula si porta dietro quando si trasferisce a Londra. Io credo a Dracula di Stoker: non torni alle origini, le tieni con te. Specialmente quando non sono oggetti o genealogie, ma l'umore con il quale si è cominciato a capire o fraintendere il mondo, in cui si è seminato e alcune piante sono fiorite e altre si sono seccate.
A proposito: le piante sono silenziose protagoniste di ‘Chi dice e chi tace’, perché?
Perché da anni leggo i libri di Stefano Mancuso e mi domando come mai non ho cominciato prima a interessarmi di botanica. Mi sono detta che le enciclopedie che compulsavo e mandavo a memoria da bambina riguardavano il regno animale fino ai mari e agli oceani e non le piante. A cui, insomma, sono arrivata per cultura e non per natura. I libri letti nell'infanzia appartengono chiaramente alla natura, ci stai in mezzo anche senza capirla, e questa incomprensibilità è fonte di meraviglia.
Tra le righe, il libro affronta alcuni temi d’attualità: in che misura la letteratura è politica?
Ora che il romanzo appartiene a chi legge e non più a chi l'ha scritto, ho capito che la sua più grande attualità - certo c'è un femminicidio, certo c'è il sospetto livoroso per l'estraneo, certo si sono cose più resistenti dell'amore, come l'interesse - la sua grande attualità, dicevo, riguarda il paese come bolla social. Solo che è una bolla social con una certa estensione fisica in cui ci sono corpi che occupano un certo spazio e che dunque devono sistemarsi, e possono darsi fastidio anche quando si amano. Mi sembra insomma che il microcosmo - che significa paese, condominio, ufficio con colleghi, quartiere - sia un esercizio alla tolleranza perché dice che tutti ci diamo disturbo e dunque bisogna campare e lasciar campare. Cosa che nelle bolle senza corpi non succede, anzi diventiamo intransigenti e violenti, perché non c'è necessità di aggiustarsi, tutti abbiamo l'impressione di poter occupare l’intero spazio. Mi piacerebbe che la politica fosse letteratura, invece non lo è.
Il libro tratta di un’indagine su una donna appena scomparsa, compiuta da un’amica resasi conto che troppo di lei le era sfuggito quanto era in vita: in che misura nella sua ispirazione ha influito il rapporto con Michela Murgia?
Il libro, com’ è specificato in nota, è stato scritto nell'estate del 2021, quasi per intero. E in quella stagione calda eravamo tutti forti e belli, infatti Michela stava bene.
Nelle note finali di ‘Chi dice chi tace’ fai riferimento alle figure femminili dei romanzi non-Maigret di Simenon, ma scegli di non dire cosa ne hai capito: vuoi cogliere quest’occasione?
No, non la coglierò nemmeno ora, anche perché l'ho già colta. E’ uno scherzo, che mi è piaciuto definire "struggente interrogativo", espressione appresa in un racconto di Jaeggy. Delle donne nei romanzi non-Maigret di Simenon ho parlato anni fa ai Frigoriferi Milanesi insieme a Grazia Verasani.
A gennaio il teatro Quirino di Roma ha ospitato una serata dedicata a Michela Murgia con letture pubbliche di ‘Dare la vita’, perché hai scelto di non esserci?
Non sono pronta a parlare di Michela Murgia in pubblico, l'ho dichiarato nell'incontro finale di Più Libri Più Liberi, che anche per i prossimi due anni sarà dedicato a lei. L'ho fatto nei giorni appena successivi alla sua morte e tornerò a farlo appena sarò più salda.