AGI - “Nel giugno 2022 le forze russe sono arrivate nel nostro villaggio. Prima i soldati ceceni, poi i russi. Parlavo con loro, molti avevano parenti in Ucraina. Avevano seguito un addestramento di due mesi in Bielorussia. Uno, ventenne, mi ha mostrato la foto della moglie. Gli preparavo il caffè ogni mattina. Alcuni di loro avevano vent’anni, anche meno. Mi dissero scherzosamente che volevano farmi sindaco. Tuttavia quando il loro cibo finì, finì anche la tregua. Hanno saccheggiato il villaggio, ucciso una mucca per mangiarla. Rendendosi conto che la sconfitta era imminente, bruciarono una casa, insieme ai loro morti. Prima di partire hanno minato il villaggio, lasciando dietro di sé mine inesplose. Una mattina mi sono svegliato e non c’erano più. Era il 30 marzo”. Così Victor, che sta ad Andriivka. L’obiettivo lo ferma davanti alla porta del suo magazzino, sotto le assi di legno sconnesse.
È il giugno del 2022. Offre la propria immagine e la testimonianza ad Arianna Arcara (Italia). Le sue immagini e quelle di Mykhaylo Palinchak (Ucraina), Rafal Milach (Polonia) e Sandra Shildwacher (Germania) sono state selezionate nell’ambito dell’International Visitor Leadership Program (IVLP), uno dei programmi di scambio culturale del Dipartimento di Stato Usa, che ogni anno, attraverso le proprie ambasciate, coinvolge 4500 giovani leader. E sono ora esposte fino all’11 marzo al MAXXI di Roma, una mostra nello Spazio Corner a ingresso gratuito - “Ucraina, storie di Resistenza” - promossa dall’Ambasciata degli Stati Uniti in Italia. Un memento crudo della guerra di Putin, adesso che sono passati due anni dall’invasione della “regione di confine”, questo vuol dire Ucraina secondo il toponimo dall’antico slavo orientale.
Un pugno, queste fotografie scattate tra i palazzi distrutti di Donetsk, nel territorio di Kharkiv o nei rifugi di Kiev, contro la campagna di disinformazione che la dittatura di Putin ha confermato, insieme alla ferocia, nel caso del martire Navalny.
“Qui reagiamo alla barbarie della guerra, nella consapevolezza che siamo tornati nell’era del ferro e del fuoco, come disse Carlo Rosselli, martire della Resistenza. Al MAXXI lo facciamo con il linguaggio dell’arte”, ha commentato Alessandro Giuli, presidente del Museo del Ventunesimo Secolo, inaugurando l’esposizione alla presenza dell’ambasciatore degli Stati Uniti d'America in Italia Jack A. Markell, della vice Ambasciatrice d'Ucraina in Italia Oksana Amdzhadin e dell’Ambasciatore del Regno Unito in Italia Edward Llewellyn.
Sono tutte in bianco e nero le foto di Arcara. Su uno sfondo di desolazione, dove la linea d’orizzonte sfuma nella nebbia, i suoi “protagonisti” stanno dritti, in una fissità che è essa stessa “resistenza”. Adolescenti, come Kira, Maxim, Sergei ritratti dalla macchina fotografica a Posad Pokrovs’ke e a Kherson tra novembre e dicembre scorsi. Prima, a giugno 2022, ragazzini giocano nel fiume vicino a Borodjanka, si lasciano galleggiare tra le increspature dell’acqua. Alina, seduta sul suo letto, lo sguardo fisso verso il vuoto, dice alla fotoreporter (Mykolaiv, maggio 2022): “Io e mia sorella Cristina, insieme a papà e mamma, abbiamo cercato un rifugio per ben 92 giorni. Papà, un veterano del 2014, lavorava all’aeroporto prima che venisse orribilmente bombardato e ridotto in macerie. Ora fa il volontario: va nei villaggi di Mykolaiv Oblast per portare pacchi di cibo alle persone isolate. Mamma organizzava feste per bambini e matrimoni. Sono preoccupata per me e mia sorella, per come cresceremo in mezzo a questo caos, senza amici, senza poter andare a scuola in modo normale. Tutto è avvolto nell’incertezza”. Gli anziani sono gli altri soggetti fotografati. Lydia ha la borsa della spesa infilata nel braccio e stringe una bottiglia di latte. Ma dove andrà, se tutto intorno è abbandono. Olga, di Andriivka, racconta di aver messo i barattoli delle sue conserve al sole (il sole di giugno 2022) per farli asciugare: li ha trovati vuoti, dopo che i russi hanno lasciato il villaggio.
Il ponte di Irpin ha visto passare in fuga nel marzo 2022 migliaia di persone in fuga dalla guerra. Ora un moncone di cemento armato pende minaccioso. Ecco le foto a colori di Mykhaylo Palinchak. Ancora Irpin: Savelii, dieci anni, china la testa davanti alla tomba del padre Igor, classe 1975, morto per difendere la città come membro della difesa territoriale. Anche suo fratello Vladislav, 21 anni, e suo zio Yuri sono andati a combattere. E li hanno feriti gravemente. Tra la neve un’esercitazione militare; sullo sfondo di un convoglio e di soldati in mimetica l’abbraccio di due fidanzati alla stazione di Kramatorsk, punto di snodo per militari che partono e tornano dal fronte. A Kyiv solo una quinta nera dietro al bianco del fagotto di sacchi di sabbia ammassati per proteggere il monumento a Dante Alighieri. E lì – febbraio 2022 – porta un fucile a tracolla sul cappotto di tutti i giorni Yaryna Arieva, ventuno anni, che si è unita alla difesa territoriale il primo giorno dell’invasione russa su larga scala.
“Should I stay or should I go?”, s’intitola la sezione di Sandra Schildwachter. Famiglie riunite in ambienti stretti, i letti aggiunti vicino al divano o alla tv per accogliere chi è scappato. Boris Yevlakhin, 47 anni, faceva il minatore in Ucraina. Vive in Germania da sei mesi, è riuscito a portare la madre Lyuba e il padre Anatoliy. In un appartamento condiviso a Hochst, ancora Germania, vivono quattro generazioni: Kateryna, 29 anni, giunta da Kharkiv con la figlia di due anni, la madre e la nonna. Prima di sistemarsi nella mansarda si sono a lungo arrangiate nel monastero della città tedesca. Così Olesia, che nel suo Paese faceva l’insegnante, ed è fuggita con i due figli e la madre.
Rafal MIlach, oltre agli scatti, ha portato al MAXXI le copie del suo foglio di informazioni, UATLAS. Fin dall’avvio della guerra camuffata da “operazione speciale” ha messo in piedi una piattaforma online per collegare rifugiati e persone rimaste in Ucraina e raccontare le loro storie. Il primissimo piano di una donna campeggia su una pagina, sotto le fermezza delle sue parole “…e allora sono tornata in Ucraina per vedere i miei parenti, i miei genitori…”.
Vicende, immagini, testimonianze che i tiggì hanno mostrato e mostrano da ventiquattro mesi. Ma allibito davanti alle foto - ciascuna una data, una località, un nome - il visitatore si chiede: chissà ora dove sono, che cosa fanno, com’è finito il loro tormento.