AGI - L’autovelox, nemico giurato di Fleximan e supporto elettronico inesorabile per ricondurre al rispetto delle regole della circolazione stradale, ha un “papà” nobile che non a caso è stato soprannominato “il Leonardo del Novecento”, pur non godendo della stessa popolarità. A Corradino D’Ascanio (Popoli, Pescara, I febbraio 1891 – Pisa, 5 agosto 1981) si deve l’invenzione di un mezzo straordinario diffuso in tutto il mondo, l’elicottero, e di un mezzo a due ruote che ha conquistato tutto il mondo, la Vespa. Ma è stato proprio lui a teorizzare e costruire quello che viene designato come il prototipo dell’autovelox, singolare aspetto della vita di chi ha vinto la sfida di Icaro in cielo col volo verticale e quella sulle strade della terra con uno scooter diventato un simbolo assoluto del made in Italy. Correva il 1925 quando la mente poliedrica dell’abruzzese D’Ascanio concepiva un sistema per rilevare la velocità delle automobili, nella consapevolezza che la maggior parte degli incidenti all’epoca era dovuto proprio a questo elemento.
In epoca contemporanea quel brevetto è stato ripreso, modernizzato, e applicato alle frenesie del traffico moderno, per arrivare ai giorni nostri con due correnti di pensiero: uno strumento indispensabile a fungere da deterrente e a sanzionare gli automobilisti disinvolti sui limiti, un apparecchio che assicura ai Comuni e allo Stato un gettito sostanzioso, tassazione indiretta sotto forma di contravvenzioni spesso salate. Le gesta di Fleximan, degli imitatori e degli epigoni, hanno richiamato prepotentemente il tema degli autovelox, secondo una prospettiva che mai D’Ascanio avrebbe potuto immaginare. Si appassionò sin da ragazzo del volo che fu la costante della sua vita, con tante variabili, arrivando a laurearsi in ingegneria al Politecnico di Torino nel 1914. Poi subito al Battaglione aviatori, tra i pionieri di un mezzo inventato da poco più di un decennio negli Stati Uniti e utilizzato per la prima volta al mondo in guerra dall’Italia, in Libia contro l’Impero ottomano, nel 1911.
D’Ascanio con brevetto n. 32500 del 30 giugno 1916 realizza il clinometro universale automatico per aeroplani, invenzione indispensabile per conoscere l’angolo di beccheggio e di rollio, e in seguito pure l’elica a passo variabile, poi adottata in tutto il mondo su tutti gli aerei con motori a pistone. Sua pure l’idea di un apparecchio radio nell’abitacolo degli aerei per assicurare le comunicazioni in tempo reale. E visto che si era fidanzato nel 1917 con una ragazza di Popoli, Paolina, che poi diventerà sua moglie, inventò un sistema per utilizzare la rete elettrica comunale di illuminazione per poterle telefonare gratis e a piacimento durante il giorno (all’epoca l’erogazione era notturna), Nel dopoguerra, archiviata anche l’invenzione del forno elettrico per la panificazione e la pasticceria adoperato dappertutto, si dedicò anima e corpo alla sua passione: l’elicottero.
A Pescara, nella Fonderia Camplone (oggi scomparsa e senza neppure una targa commemorativa), nel maggio 1926 Corradino D’Ascanio, messosi in società col barone Pietro Trojani, fa alzare in volo per la prima volta nella storia i modelli di elicottero D’AT1 e D’AT2, da cui sarebbe derivato il D’AT3 del 1930 ricordato da una grande lapide all’aeroporto di Ciampino per i tre record mondiali: l’8, 10 e 13 ottobre l’elicottero di D’Ascanio conquistò i primati internazionali di durata con ritorno senza scalo di 8’45”, di volo in linea retta senza scalo con 1078,7 metri e di altezza sul punto di partenza di 18 metri, certificati dai commissari della Federazione aeronautica internazionale con verbale del 13 ottobre. Solo molti decenni dopo, nonostante il brevetto registrato in numerosi Paesi, gli americani riconosceranno a D’Ascanio la primogenitura dell’elicottero attribuita all’ingegner Igor Sikorsky (1889-1972), un po’ come accadrà per il telefono tra Alexander Bell e Antonio Meucci grazie alla sentenza del Congresso degli Stati Uniti del 2002.
In tutta la vita, purtroppo, nessun elicottero progettato da D’Ascanio sarà avviato in linea di produzione, e nessun aereo. Ma nell’immediato secondo dopoguerra l’ingegnere farà la fortuna della Piaggio tirando fuori dal cilindro uno scooter che originariamente si doveva chiamare Paperino e che invece col nome di Vespa suggerito da Enrico Piaggio motorizzò l’Italia e si diffuse nei cinque continenti, diventato un’icona celebrata pure dal cinema. La Vespa poteva essere inventata solo da chi non sopportava le motociclette: non si inforcava ma ci si sedeva, non ci si sporcava perché tutto era coperto da un telaio, si poteva sostituire una ruota forata in pochi minuti. L’elicottero, con i soccorsi d’emergenza e quelli nelle zone più sperdute, in mare e in montagna, salva decine di vite ogni giorno. La Vespa ha dato un veloce ed economico pezzo per spostarsi a chi non poteva permettersi un’automobile e la libertà ai giovani ancora oggi affascinati da quelle due ruote di classe e simpatia.
Molta di meno, di simpatie, ne riscuote l’autovelox con l’inconfondibile sagoma delle colonnine, guardiano implacabile delle infrazioni, che non perdona con l’occhio elettronico. Fleximan ne ha fatto un nemico da abbattere, e non solo per modo di dire, alla vigilia del centenario dell’invenzione da parte di un genio abruzzese che pensava invece solo all’incolumità sulle strade, quelle in cui il traffico era assai raro eppure gli incidenti si verificavano lo stesso. Di qui il suo sistema da montare sulle vetture che rilevava la velocità e scattava quando si superava il limite preordinato, costringendo l’autista dal piede pesante a fermarsi, scendere e disattivare il blocco elettronico. Con qualche reazione non da gentleman ma senza contravvenzioni. Quelle arriveranno dopo. E dopo ancora è arrivato Fleximan.