AGI - Di Chiara Valerio si sente parlare spesso, di questi tempi, in contesti diversi, ma l’editoria resta la sua casa. Scrittrice ed editor con un background da matematica, ma anche giornalista, conduttrice radiofonica e direttrice artistica, ha curato quest’anno il programma di Più Libri più liberi. L’abbiamo incontrata per conoscere le sue sensazioni alla vigilia dell’evento.
Ha definito questa edizione di Più libri più liberi (PLPL) il primo volume di una trilogia: di quali capitoli si sente più orgogliosa?
Mi piace l'idea della collaborazione tra PLPL e Testo, la fiera organizzata da Pitti e da Todomodo, libreria indipendente di Firenze, attraverso Radio Gridolini. Mi piace l'idea di Emmanuela Carbé che scriverà una cronaca che sarà poi pubblicata nella sezione Storie de Il Post, perché in effetti le fiere e i festival sono viaggi. Mi piace l'idea di Dior partner di progetto della fiera perché come dice Maria Grazia Chiuri, direttrice delle collezioni donna di Dior, la moda ha a che fare con la rappresentazione di sé stessi. Mi piace l'idea di una solida, vasta e larga striscia di scienza. Mi piace l'idea di chiudere ogni capitolo della trilogia con una riflessione sull'opera, squadernata in vari media, di Michela Murgia. Insomma, mi piace tutto.
Se fosse una semplice visitatrice, quali appuntamenti di questa edizione della manifestazione non vorrebbe mai perdersi?
Visto che amo moltissimo chi legge, e amo gli scrittori e le scrittrici che si presentano come lettori, seguirei la striscia Scrittori che raccontano scrittori. Che apre col premio Strega Mario Desiati che racconta Fleur Jaeggy e con Djarah Kan, scrittrice e attivista che parla di Conrad e Fanon.
Dalla piccola e media editoria arriva il 60% dell’offerta complessiva nelle librerie, in cosa si sostanzia in termini di valore la differenza della loro proposta da quelle dei grandi gruppi editoriali?
Ho lavorato in una casa editrice indipendente per quasi dieci anni e ora lavoro in una storica casa editrice che fa parte di un grande gruppo. Non credo ci sia differenza nel punto di vista, nel voler cercare e portare a chi legge libri che volta per volta si reputano nuovi. L'editoria ha a che fare col nuovo, con la cosa prossima, con l'immaginazione. Quella piccola e quella grande. Tuttavia, ogni volta che si cambia scala sorgono nuovi problemi e nuove avventure. I problemi da risolvere sono diversi per la piccola e per la grande editoria.
In una società dominata dalla tecnologia, cosa rappresentano - o dovrebbero rappresentare - i libri per noi? In altri termini, possono ancora cambiare il mondo o almeno, in una qualche percentuale, le nostre coscienze?
Sa, gli Dei fanno qualsiasi cosa nell'Olimpo, ma non leggono. Potrebbe eccepire che la scrittura era da lì da venire, ma la realtà è che leggere e pubblicare sono azioni umane. Mentre la tecnologia ha a che fare con la mitologia e con la religione (Prometeo agli Dei ruba il fuoco, una tecnologia), l'editoria è una cosa tutta umana. Dunque leggere in sé è il gesto che ci tiene a riparo da paure o timori tecnologici che, dalla metà degli anni Cinquanta in poi, da quando cioè Norbert Wiener ha inventato la cibernetica - il prodromo di ciò che oggi chiamiamo AI - ci perseguitano riguardo la possibilità di una società governata dalle macchine. Ma il punto, mi pare, non è l'automazione: è la memoria. E mi pare pure che la memoria abbia la forma del libro.