AGI - Si fa presto dire ‘un semplice piatto di spaghetti"’ Se lo si mangia in un particolare cortile, di un particolare palazzo, in un particolare luogo, ci si potrebbe trovare ad addentare un pezzo di storia. E che storia. Dal lontano Afghanistan alle verdi distese dell’isola di Jersey per arrivare ai Monti Lattari dove la dolcezza del vento e la salsedine che arriva dal mare ha già dato vita alla pasta dorata e alle profumate varietà di pomi d'oro che accompagneranno una soffice spuma del saporoso provolone del monaco… che verrà.
Così Agerola ci fa tornare un po' bambini, alle prese con kriss appuntiti da pirati della Malesia di salgariana memoria e morti misteriose degne della penna sapiente di Agatha Christie. Sarà che per molti lo spaghetto al pomodoro è una sorta di madeleine che proietta verso l'infanzia, ma quello che si mangia a Palazzo Acampora, dimora ‘700esca che da privata è diventata accessibile a chiunque con un ristorante che ha ambizioni stellate e un (futuro) hotel de charme, è la sintesi della storia di una famiglia singolare in una terra singolare.
Perché senza uno degli abitanti di quella dimora, il provolone del monaco non ci sarebbe stato, appunto. La mucca agerolese dal cui latte si produce, infatti, riconosciuta come nuova razza solo nel 1952, nasce da un incrocio tra Podolica, Bruna e Jersey. Quest’intreccio tra patrimoni genetici si verificò a metà del XIX secolo, quando il generale Paolo Crescenzo Martino Avitabile, dopo aver ottenuto importanti successi militari, di ritorno dall’Inghilterra, portò con sé, oltre a una sciabola, due vacche gravide e una vitella, tutti di razza Jersey, bovini avuti in dono dal duca di Wellington.
Un grande riconoscimento al suo valore, dato che all’epoca era vietato portare fuori dall’Inghilterra bovini appartenenti a quella razza. Perché di questi preziosi regali? Il generale Avitabile, irrequieto figlio di una nobile famiglia agerolese, diventato ufficiale di Sua Maestà Britannica, era stato mandato a prestare servizio in Afghanistan e lì, al comando di un esercito di sikh, conseguì un risultato ancora oggi mai raggiunto da altri, pacificare le tribù pashtun.
Il fiero soldato tornò nella natia Agerola, cittadina che sovrasta il lato amalfitano della Penisola Sorrentina in una zona così vocata all’allevamento bovino che i suoi rilievi prendono il nome appunto di Lattari; abbandonato il mestiere delle armi per una più tranquilla vita da possidente, Avitabile incrociò i bovini avuti in dono con le razze locali, la Bruna e la Podolica , ottenendo il primo nucleo di una nuova razza e poi di nuove specialità casearie.
Si deve ora alla genialità di un giovane chef, Giuseppe Romano, 35 anni, allievo di Vincenzo Guarino, che lavora in sintonia con il maitre Luigi Capriglione e il sommelier Antonio Iovine, e alla scelta di Giovanni Paone, discendente da parte di madre degli antichi proprietari della residenza, il buon cibo ‘a metro zero’ ( perché molte delle materie prime impiegate arrivano dal vicino orto della proprietà) e ad alta densità di storia che danno vita a ‘questo’ piatto di spaghetti.
Così l’antica dimora agerolese diventa meta possibile di turismo esperienziale, con il suo scrigno di segreti, in mezzo a una terra che una volta fu di briganti. Il generale Avitabile lo si può ammirare con i suoi baffi e le sue decorazioni in uno raro dagherrotipo d’epoca che lo ritrae insieme a una delle sue ‘conquiste’ afghane. Tornato ad Aversa, però, la sua vita non fu meno ricca di colpi di scena.
Posato il kriss (sì c’è anche quello a Palazzo Acampora, e pure dei vasi di Sèvres, altro dono per lui, questa volta di re Luigi Filippo di Francia), ebbe a combattere per una bella Michelangela, sua nipote e già fidanzata con Luigi Acampora di Corfù, ‘soffiandogliela’ e ottenendo la dispensa papale per sposarla. Ma la mattina del Venerdì santo del 1850 il farmacista di Agerola fu chiamato perché il generale era agonizzante.
Dal suo letto, Avitabile indicò “quei due”, la giovane moglie e il suo ex, come i suoi avvelenatori, gesto forse compiuto con il beneplacito della corte borbonica. La storia ci dice che se pure il capretto cucinato dalla donna fosse stato la causa della morte del conquistatore dell’Afghanistan, l’inchiesta fu insabbiata e non o svelò mai, e Michelangela e Luigi due anni dopo erano marito e moglie.
I loro due ritratti ai affrontano nel salone delle feste del palazzo. Poco distante, c’è pure il piano suonato da Francesco Cilea, che trascorreva qui le sue vacanze estive con la moglie e le foto di Enrico De Nicola, primo presidente della Repubblica e amico di Francesco Acampora, discendente di Luigi, altro ospite illustre.
E allora uno spaghetto al pomodoro profumato di provolone del monaco non è più un piatto semplice. “ Palazzo Acampora è stato anche gendarmeria reale e poi sede del comando del brigantaggio borbonico – racconta Paone, che come imprenditore ha interessi nelle rinnovabile e nella costruzione treni - è nato come ristorante per gioco nel 2012 per dare supporto alla mia vita sociale. E quelli che ci lavorano sono una famiglia, originari della zona che hanno deciso di tornare e professionalità formate in loco. Questo lavoro è famiglia”.