AGI - Un assassino non è mai stato. "Era un uomo difficile, questo sì. Ma è infondata la fama di artista maledetto": Stefania Macioce, ordinaria di storia dell’arte moderna all’Università La Sapienza di Roma, a Caravaggio ha dedicato una vita di studi. Era "aggressivo perché si sentiva perseguitato", spiega all'AGI, "talvolta violento, perché nervoso: era ben conscio del proprio valore e poteva irritarsi facilmente". Ma aveva un forte senso di ricerca, e di spiritualità, "evidente nelle ultime opere, in cui il tratto è meno netto e più accennato".
Gli studi di Stefania Macioce sono confluiti nella terza edizione del volume “Michelangelo Merisi da Caravaggio. Documenti, fonti e inventari - 1513-1848”, pubblicato da Ugo Bozzi Editore di Roma (768 pagine, 100 €), che aggiorna al 2023 le due precedenti edizioni risalenti al 2003 e al 2010, interamente dedicate all’artista che ha rivoluzionato la pittura italiana.
Di Caravaggio, la professoressa Macioce, conosce il tratto e la cifra pittorica, e in virtù delle centinaia di documenti che ha raccolto nel volume, che aggiorna e amplia l’ultimo, sicuramente conosce anche la storia. Ha contribuito ai cataloghi di diverse mostre a Roma, Vienna, Madrid, Tokyo, Osaka, Bergamo, Siracusa, e alla grande mostra su Caravaggio alle Scuderie del Quirinale, svoltasi a Roma nel Centenario del 2010. Sempre in occasione del Centenario caravaggesco la professoressa Macioce ha pubblicato 'I cavalieri di Malta e Caravaggio', 2010, e il volume 'La musica al tempo di Caravaggio'.
Il volume appena pubblicato conta 106 nuovi documenti di cui 44 strettamente inerenti a Caravaggio, e 150 nuove voci attinenti alle fonti e agli inventari: in totale 1.100 documenti, più 22 fonti e 60 inventari. Atti e notizie che lo riguardano a partire dal 1513 fino al 1875. Il lavoro di ricerca, comunque, non è ancora finito: gli studi su Caravaggio sono molto in movimento, e non è escluso che gli archivi nascondano ancora degli inediti. Nessuno scritto autografo del pittore, purtroppo figura tra i documenti pubblicati nel testo, ma tutto ciò che di lui si conosce, per ricostruirne la vicenda umana e artistica.
Che figura emerge, dalle fonti antiche?
Certamente quella di un precursore e un visionario, capace sì di affrontare un uomo in duello - “come era consuetudine in quel tempo”, lo difende la studiosa -, ma anche e soprattutto capace di “anticipare di secoli la composizione fotografica dell’immagine, intuendo che facendo scoperchiare il tetto della sua casa/studio nel centro di Roma avrebbe ottenuto il risultato di fare entrare i raggi del sole con un taglio e un’inclinazione ‘fotografica’, in anticipo di secoli”: quella cifra stilistica che ancora oggi identifica Caravaggio come “il pittore della luce”.
“Dai documenti sappiamo - racconta ancora Macioce - come nacque questa invenzione della scena buia illuminata lateralmente da un fasci di luce. Nel suo studio fece proprio aprire una parte del soffitto per far entrare la luce a taglio: aveva già visto nella sua visione cosa ne avrebbe ottenuto. Nella sua opera questo ha anche un forte portato spirituale: quasi a dire che noi siamo nel buio e possiamo conoscere solo la luce di Dio”. Che dipingesse “con la luce” è cosa nota, ed è per i tratti assolutamente innovativi della sua opera che Caravaggio, già al suo tempo (il pittore è nato in Lombardia nel 1571, ma è nella Roma papalina che fece fortuna) “era molto ben pagato”.
Sarà il gusto successivo, a partire dal ‘600, spiega la professoressa Macioce, a mettere in ombra la fama dell’artista lombardo, che rimarrà silente fino alla riscoperta avvenuta nel ‘900, riscoperta che porta con sé anche un certo florilegio di false attribuzioni. Contro le quali, dice Macioce, “c’è solo l’esperienza dello studioso, che sappia riconoscere lo stile e le caratteristiche dell’artista. Piuttosto si parla in certi casi di ‘caravaggeschi’: non allievi perché allievi non ne ha avuti, ma seguaci. A un occhio esperto è più facile riconoscere l’invenzione originale dell’artista, ma hanno un certo valore anche le copie d’epoca perché rivelano dei dettagli. Nel ‘700 bastava che un’opera avesse dei chiaroscuri particolari perché venisse attribuita a Caravaggio. Ma certo, una copia in confronto all’originale è piatta, sull’originale concordano tutti”.
Vita di ombre e di eccessi, certamente, e di ricerca
“Caravaggio - spiega Macioce - arrivò a Roma tra il 1595 e il 1596, ed era molto vicino alla spiritualità dei padri Filippini, di Santa Maria in Vallicella, nel centro di Roma. ‘I miei peccati son tutti mortali’, diceva, e per tutta la vita diede un certo scandalo. Ricordiamo La morte della Vergine, in cui per raffigurare la Madre di Cristo scelse una donna del popolo, così come fece per La Madonna dei Pellegrini esposta oggi a Sant’Agostino in Campo Marzio. Le opere rivelano anche un grande studio: la semplice posizione dei piedi di Maria, in quest’opera riprende una posa classica, segno che l’autore ha studiato molto i classici prima di dipingere.
Ma ciononostante quando apparve questo quadro il popolo insorse: non si accettava che la Madonna potesse essere così semplice, così simile a loro. Fonti dicono che alcune di queste donne che ritraeva fossero perfino sue amanti, o comunque cortigiane: pensiamo a Lena, alla Fillide… ma quand’anche fosse, pensiamo a come Cristo trattava la Maddalena”. “Caravaggio - spiega ancora la professoressa - non ricostruiva ambienti classici, ma riportava nella contemporaneità i soggetti: pensiamo alla Vocazione di San Matteo, (oggi nella Cappella Contarelli a San Luigi dei Francesi).
Su fondo neutro, perché risaltasse il soggetto, è la pittura della storia. L’attimo è questo. La sua è una copia della natura, come se dicesse ‘io voglio vedere la gente com’è’. Una pittura della verità. L’istantanea la crea Caravaggio”. Le ombre rimangono un tratto della sua pittura, ma anche una metafora della sua vita. Su tutte, la fama d’assassino derivante dal ferimento a morte di Ranuccio Tomassoni, fratello del capo della polizia del Rione Campo Marzio: un alterco forse motivato da ragioni politiche, che finì in un duello nel quale il Tomassoni ebbe la peggio.
“La lite con la famiglia però - spiega la professoressa - dopo qualche tempo si ricompose, emerge dai documenti”. Da questo episodio iniziarono le peripezie del pittore, che lo portarono fino a Malta, in un susseguirsi di tappe che tendono a ritornare verso Roma: “voleva la grazia dal Papa”.
A proteggerlo, fu la grande aristocrazia, specie alcune nobildonne: su tutte la Marchesa Costanza Colonna, la cui casa a Napoli fece da ‘base’ quando il pittore si trovò a fuggire da Malta. “Fuggì - racconta ancora la professoressa - perché cacciato dal Gran Maestro dell’Ordine dei Cavalieri di Malta. È però proprio il ritratto che fece del Gran Maestro una delle opere più significative di Caravaggio: il passo va verso una direzione, il volto verso un’altra”.
Inquieto fino alla fine, Michelangelo Merisi era "aggressivo perché si sentiva perseguitato. Talvolta violento, perché nervoso: era ben conscio del proprio valore e poteva irritarsi facilmente". Ma aveva un forte senso di ricerca, e di spiritualità, "evidente nelle ultime opere, in cui il tratto è meno netto e più accennato: La Resurrezione di Lazzaro, per esempio, è tutta sull’essenza, come se si frammentasse e così si disperdesse". Disperso, come l’ultimo viaggio dell’artista. "Alcune fonti dicono che sia morto nel 1610 a Procida. Altre a Porto Ercole. Ciò che sappiamo, è che il suo corpo non lo abbiamo".