AGI - "Oggi la guerra e il terrore hanno una propaganda diversa rispetto al passato, vengono mostrate immagini di morte e uccisioni. Lo Stato Islamico mette in mostra il sadismo per fare propaganda. A un certo punto durante il processo hanno mostrato in aula uno dei terribili filmati di propaganda dell'Isis. Nel passato questo non avveniva: se pensiamo ai nazisti non mostravano i morti dei campi di concentramento, nell'Unione sovietica non si mostravano i morti nei gulag. Lo vediamo anche oggi con la guerra in Ucraina. Penso al video terribile del disertore del gruppo Wagner che viene ucciso a martellate". Lo ha detto lo scrittore francese, Emmanuel Carrére, a Roma per presentare all'Auditorium parco della Musica il suo ultimo lavoro, 'V13' edito da Adelphi, la cronaca del processo che ha visto alla sbarra i complici e l'unico attentatore sopravvissuto agli attacchi terroristici di venerdì 13 novembre 2015 a Parigi, tra cui quello all'interno del locale Bataclan.
In tutto 130 vittime e 350 feriti per un processo durato nove mesi con 14 imputati, 1.800 parti civili e celebrato all'interno di una struttura di legno, un enorme box allestito nell'atrio del palazzo dell'Ile de la Cité a Parigi capace di accogliere 600 persone. Al termine del processo l'imputato principale, Salah Abdeslam, naturalizzato belga e di origine marocchina, unico a non essersi fatto saltare in aria con la cintura esplosiva, è stato condannato all'ergastolo.
L'enigma Salah Abdeslam
"In realtà - ha spiegato - i veri colpevoli, compreso il capo del commando terroristico, sono tutti morti. Tra i 14 imputati c'erano anche 3,4 delinquentelli, piccoli spacciatori, che nel loro cammino si sono trovati a scontrarsi con questa vicenda enorme. Se la giustizia è stata clemente con queste 3,4 persone è perché era giusto così. Di Salah rimarrà sempre un mistero del perché non si sia fatto saltare in aria, se per paura o perché si è inceppata la cintura, nel corso del processo ha detto cose mediocri. Non ci sono valori in tutto questo anche se sembrava, prevale una loro ricerca di far parte di una fratellanza, una sorta di élite di avanguardia. In realtà, il mistero, l'ammirazione e la curiosità nel seguire le udienze era più dal lato delle vittime e non degli imputati".
Carrére ha raccontato che in Francia "nessuno ha pianto per l'ergastolo a Salah", e di essere rimasto sorpreso dal fatto che abbia deciso di non presentare appello alla decisione del tribunale. "Non ne può piu'" hanno riferito i suoi avvocati.
"Certamente è stata una sentenza basata sulla volontà di voler dare l'esempio - ha sostenuto Carrére - hanno voluto un processo esemplare, una vetrina per una giustizia democratica. È stato un modo deliberato, pensato, riflettuto di non opporre alla barbarie altra barbarie, come ad esempio è stato fatto a Guantanamo, ma rispondere con il diritto. Ecco io mi domando questa è la nostra forza o la nostra debolezza? Non lo so, me lo chiedo", ha concluso Emmanuel Carrére.