AGI - L’arte come mezzo diplomatico per un riposizionamento geopolitico. La prova di una osmosi fortunata e un dialogo concreto tra le ‘sorelle’ pittura e scultura. Il racconto di una stagione felice interrotta bruscamente. È tutto questo e molto altro ‘Gli spagnoli a Napoli. Il Rinascimento meridionale’, la grande mostra a cura di Riccardo Naldi e Andrea Zezza al Museo e Real Bosco di Capodimonte, visibile fino al 25 giugno prossimo.
Un progetto espositivo realizzato insieme al Museo Nacional del Prado, che ha come fulcro un prestito ‘impossibile’. Per la prima volta dopo 400 anni, infatti, la Madonna del pesce eseguita da Raffaello per la cappella della famiglia del Doce in San Domenico Maggiore a Napoli lascia Madrid per ritornare nella città in cui fu concepita e dove divenne un punto di riferimento fondamentale per gli artisti qui attivi durante il Cinquecento.
L’opera venne requisita dai governanti spagnoli e trasferita nella capitale iberica intorno alla metà del Seicento, e non è mai andata fuori dalle mura del museo che la ospita sino a questo momento. Sono 66 i capolavori che hanno dato vita a questa esposizione, una sorta di prosieguo di quella inaugurata a Madrid il 18 ottobre dell’anno scorso con il titolo ‘Otro Renacimiento. Artistas españoles en Nápoles al comienzos del Cinquecento’, tutt’ora molto visitata.
La rassegna napoletana, che rispetto a quella madrilena è connotata da un più forte legame con il territorio, è dedicata a uno dei momenti più fecondi e meno conosciuti della civiltà artistica napoletana, il trentennio che va dal 1503 al 1532 circa, dopo la vittoria definitiva degli spagnoli sulla Francia, contesa di fatto aperta dalla morte di Alfonso II nel 1495, terminata con Gonzalo Fernández de Córdoba, il ‘Gran Capitano’, primo viceré del regno napoletano.
È il periodo che, sotto il profilo politico, vide l’estinguersi della dinastia aragonese, con il passaggio del Regno di Napoli sotto il dominio della corona di Spagna; e sotto il profilo culturale, il raggiungimento dell’apice della sua grande stagione umanistica, con il passaggio di consegne da Giovan Gioviano Pontano a Iacopo Sannazaro. Le novità artistiche elaborate in quegli anni da Leonardo, Michelangelo e Raffaello furono prontamente recepite e reinterpretate in modo originale in una Napoli molto vivace, nella quale la perdita della funzione di capitale autonoma non costituì un ostacolo allo sviluppo culturale, ma, al contrario, contribuì alla definizione di un nuovo ruolo di cinghia di trasmissione della cultura rinascimentale tra le due sponde del Mediterraneo.
Del resto, in un’ottica di riposizionamento politico verso i conquistatori spagnoli, la committenza di opere e architetture da parte di ordini religiosi e nobiltà si orientò nella scelta di artisti o modelli artistici iberici, in modo da rendere esplicito il loro schierarsi a fianco del nuovo potere.
La mostra dunque propone un’ampia visione di opere eseguite da alcuni dei principali artisti spagnoli attivi in quegli anni a Napoli, quali Pedro Fernández, Bartolomé Ordóñez, Diego de Siloe, Pedro Machuca, Alonso Berruguete. Trasferitisi per tempo in Italia, gli spagnoli divennero i protagonisti dell’eccezionale stagione artistica della Napoli del primo Cinquecento, sostenuta dal mecenatismo dell’aristocrazia e del clero che finanziarono opere di ambiziosa magnificenza, spesso realizzate in marmo di Carrara.
Tornati in patria, gli spagnoli si fecero ambasciatori di una particolare declinazione della cultura figurativa dell’alto Rinascimento, sostenuta da inventiva e capacità tecniche straordinarie, cui il passaggio della Spagna nella realtà imperiale di Carlo V diede un respiro europeo. In mostra, tra dipinti e sculture, intorno a un nucleo di una decina di opere del museo di Capodimonte, capolavori in prestito da altri musei tra cui gli Uffizi e quello Reale di Torino, ma anche da chiese napoletane e spagnole considerate patrimonio nazionale, e collezioni private italiane ed estere. Che potranno anche essere messe in dialogo, da visitatori più curiosi, con quelle coeve esposte al secondo piano del museo napoletano.
La prova dell’osmosi tra tradizione artistica napoletana e spagnola e della ‘collaborazione’ bidirezionale tra scultura e pittura è visibile proprio nel panneggio del manto della Madonna del pesce di Raffaello, che riprende quello di una scultura classica, tutt’ora conservata al museo archeologico nazionale partenopeo, il Giove Ciampolini.
La stretta connessione tra pittura e scultura, il confronto tra le cosiddette ‘arti sorelle’ trovò a Napoli un terreno particolarmente fertile per l’elaborazione di modelli che contribuirono al definirsi di un’autonoma scuola locale, di cui la mostra propone un’ampia selezione dei maggiori protagonisti, dai pittori Andrea da Salerno e Marco Cardisco agli scultori Giovanni da Nola e Girolamo Santacroce.
La mostra è realizzata dal Museo e Real Bosco di Capodimonte in partenariato con il Museo Nacional Prado di Madrid, in collaborazione con l’Ambasciata di Spagna in Italia e l’Ambasciata d’Italia in Spagna e con il Ministero dell’Interno-Fondo edifici di culto e la Curia Arcivescovile di Napoli. L’esposizione è finanziata dalla Regione Campania grazie al progetto Poc Capodimonte. Le rotte dell’arte, e gode del patrocinio del Comune di Napoli.
L’allestimento nella Sala Causa è curato dall’architetto spagnolo Francisco Bocanegra, che al Prado, nella mostra ‘Otro Renacimiento’, si era ispirato alle forme e ai volumi dell'architettura napoletana, mentre a Capodimonte ha scelto di esaltare il dialogo tra le opere pittoriche e quelle scultoree. Diverse le iniziative collaterali, dalle visite guidate, di cui la prima, il 19 marzo, con i curatori, al ciclo di conferenze organizzato dall’Istituto Cervantes di Napoli diretto da Ana Navarro, agli appuntamenti dedicati alle scuole.