AGI - "Ci sono convinzioni che tremano. Quando una voce dice 'perché?' le certezze vacillano. E le persone iniziano a dire 'grazie, finalmente qualcuno l'ha detto', oppure pensano, ripensano, e alla fine dicono che hanno cambiato idea, o che hanno visto una cosa su cui non si erano mai soffermate".
Le convinzioni che tremano sono quelle su maternità e famiglia, sulla genitorialità e sulla comunità per come la pensiamo. Il luogo dove avvengono i terremoti è un quotidiano. Il dibattito lo ha innescato su La Stampa - assicura senza dolo - la giornalista Simonetta Sciandivasci quando nel gennaio di quest'anno ha azzardato un articolo-confessione: "Cara Istat - diceva - ti scrivo perché non rientro nei tuoi grandi numeri. Sto in un 5%.
Una florida e talvolta felice minoranza di donne che non fanno figli perché non vogliono". Duecento articoli sono piovuti nella redazione del quotidiano dove il testo è stato pubblicato insieme a messaggi, a centinaia, su ogni canale, per rispondere, indignarsi, applaudire, maledire. È scoppiato il caos maternità. Da quel dibattito è nato per Mondadori "I figli che non voglio", una selezione degli interventi arrivati in risposta alla scandalosa affermazione: donne, uomini (minoranza, perché i figli sono ancora sentiti come un fatto femminile), madri, padri, non madri per scelta o per forza, in coppia o da sole. Un campo minato.
"Non so se sia un campo minato - spiega Sciandivasci all'AGI - ma so che con i figli muovi qualcosa in tutti. Quando una persona dice "questa realtà esiste perché è la mia", gli altri si sentono coinvolti. Sono arrivate risposte molto superiori alle aspettative, da tanti che nemmeno sono lettori". Il dibattito ha superato le edicole. "Tanto - continua - si è giocato online: quando hanno risposto le attiviste Giorgia Soleri e Carlotta Vagnoli sui social s'è accesa la discussione". Non è un manifesto "contro": solo un intervento su ventisei nega l'ipotesi maternità. "Tutte - spiega Sciandivasci - apriamo la porta alla possibilità: non è una presa di posizione ideologica. La maternità è un fatto della vita, può accadere o no, e ha una sua specificità. Si può essere madri di un libro, di un lavoro? No, è un assoluto: sciolto da ogni altra cosa e paragone".
La maternità è un fatto politico, prima che culturale. "Il testo - racconta l'autrice - è nato in quel periodo dell'anno in cui si parla di denatalità, e l'Istat riporta dati dolenti: non si fanno più figli perché il Paese non aiuta le donne. È vero. Ma dobbiamo fare i conti con il fatto che la denatalità sia in parte irrisolvibile: esistono persone che non vogliono una famiglia, e non si possono "convincere". Ancora tante donne, pur progressiste, mi hanno ripetuto 'te ne pentirai'. Ogni scelta comporta una rinuncia, ma perchè mai questa dovrebbe pesare di più? Se potessi adottare da sola forse lo farei: è indigeribile, non so nemmeno se sia giusto, ma il fenomeno esiste, ed è in crescita. E il problema non si risolverà.
È necessario un dibattito, e che chi sceglie di non avere famiglia sia rappresentato. Anche in Paesi con un ottimo welfare i livelli di natalità sono bassi, non è un'anomalia, ma un segno del tempo. Ci saranno sempre meno nascite ma sempre più desiderate. Siamo convinti di dover essere 60 milioni in Italia, ma perchè? Forse per l'incapacità delle istituzioni di adattare il welfare a una mutata geografia sociale". Emerge il tema del lavoro: non si può indagare circa la situazione familiare in sede di colloquio, ma la giornalista ammette di essersi esposta spontaneamente, dicendo "Non ho figli" per avvalorare la disponibilità a lavorare fuori orario. "Sapevo che sarei stata più credibile. è un condizionamento interiorizzato: è naturale pensare che si debba lavorare h24, che ogni altra cosa distragga. C'è un luogo comune sulle donne single: che debbano 'compensare con grandi carriere e serate. Anche la donna libera diventa clichè. Lo spiega Veronica Pivetti, quando toccando il tabù della solitudine dice che puntiamo su chi potrebbe arrivare, lasciando fuori chi c'è già, come le single cinquantenni, relegate nell'improduttività".
La riflessione nasce da un dialogo con la scrittrice Valeria Parrella, che dice che morirebbe per il figlio, mentre prima l'avrebbe fatto per un ideale. È qui lo scarto tra chi è madre e chi no. "Il libro - risponde Sciandivasci - è più utile a chi i figli li ha, perchè dà un'idea placida della maternità, che non significa non problematica ma desacralizzata. La maternità va anche presa con un certo sport". E la quota di rischio? La perdita di una frazione di sè, quel mistero per cui uno più uno non farà mai due, e da ogni sottrazione si genera un eccesso? "Tutto è rischio, e un figlio è un'alterità che ti descrive per sempre. Nadia Terranova scrive che non esiste una sola maternità, ma le maternità, le madri e le non madri, i padri e i non padri, ciascuno con o senza le proprie ragioni. C'è un senso di liberazione nel dire 'faccio figli perchè anzi, senza perchè". Quando arriveremo a questo punto ne faremo molti di più'".