AGI - Franco Zeffirelli detestava i tiepidi, come recita l’Apocalisse in un passo che amarono citare Antonio Gramsci e Eva Peron. Non sopportò le tiepide scelte artistiche e biografiche né i tiepidi amici, tantomeno permise di esserlo a se stesso.
Preferendo lo scontro al compromesso, l’ostilità all’indifferenza, nell’intento riuscì benissimo e ne raccolse in cambio molta più ammirazione che deprecazione e più entusiasmo che snobismo. Fatta eccezione per il suo Paese. Qui la proporzione si rovesciava spesso, come se i piatti della bilancia, pesando in Italia il regista fiorentino, fossero crudelmente montati al contrario.
Da Shakespeare (cui “tolse la polvere”) alla Bohème, da San Francesco a Gesù di Nazareth, dalla Traviata a Filumena Marturano, è arduo percorrere la lista completa delle opere liriche e teatrali e della filmografia di Zeffirelli.
Una vita cha passa dalla tribolata infanzia nell’amatissima Firenze alla corte del geniale Luchino Visconti, di cui fu scenografo e assistente alla regia, quindi dall’emancipazione dal tirannico mentore alla fama mondiale. Che non si è spenta con la morte nel 2019 ma si ravviva in vista del prossimo anno, quando ricorrerà il centenario della nascita.
Confermando la sentenza del suo più illustre concittadino: “Oh vana gloria de l’umane posse!/ com poco verde in su la cima dura,/ se non è giunta da l’etati grosse!”. Perché il nome di Zeffirelli non s’è ingiallito con la morte (come l’insofferenza di chi non lo soffriva prima) ed è difficilmente soffocabile la sensazione di vivere in “etati” più o meno “grosse” rispetto a qualche tempo fa.
A rendere un omaggio, ma soprattutto a strappare alcuni veli sullo Zeffirelli più interiore che meno appariva tra gli odii e i tripudi, è il film documentario di Anselma Dell’Olio dall’esplicativo titolo “Il conformista ribelle”, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia e in prima proiezione al Troisi di Roma lunedì 24 ottobre alle ore 19.
Essendo anche l’autrice dell’opera nella lista di chi detesta i tiepidi, non sorprende che abbia accolto con entusiasmo la proposta di esplorare il percorso di Zeffirelli, chiudendo un trittico ideale – frutto più di un nesso junghiano che di un programma – cominciato con “La lucida follia” e proseguito con “Fellini degli spiriti”, dedicati a Marco Ferreri e al genio riminese (di cui ha scandagliato aspetti trascurati dalla critica ma senza i quali non si possono capire quelli più studiati).
“Zeffirelli”, spiega Anselma Dell’Olio all’AGI, “ha scontato in patria l’estrema politicizzazione dell’Italia, per cui nel mondo dello spettacolo e della cultura risultava inammissibile non essere un uomo di sinistra. In più patì la sanzione di Visconti, il quale aveva un lato sadico e tirannico che mal tollerava l’addio di Zeffirelli, cui comunque lo legò un affetto durato fino alla fine della vita. Lo avrebbe voluto come suo scenografo per sempre e quando la fama di Franco superò la sua non lo sopportò. Fu una gelosia che dal piano professionale debordò in quello personale: non tollerava che chi lavorava per lui lo facesse anche per Zeffirelli o persino che lo frequentasse”.
L’ostracismo viscontiano si rivelò tuttavia una fortuna, perché costretto a cercarsi uno spazio artistico all’estero Zeffirelli andò a incantare i londinesi dal Covent Garden all’Old Vic. Incantò poi gli americani e poi, e questa fu tra le amicizie più profonde che pure tante furono, incantò Maria Callas generatrice di legittimi aggettivi quali divina, infelice e straordinaria.
D’indole positiva e battagliera, con l’intimo pensiero rivolto a una madre bellissima che morì quando lui aveva solo sei anni ma avrebbe sempre avvertito vicina, Zeffirelli fu conformista – appunto – e ribelle. Profondamente cattolico e omosessuale, senatore di Forza Italia, fu interessato alle esperienze spirituali che si concretarono dopo un terribile incidente d’auto in un voto artistico e religioso a san Francesco ma anche nella frequentazione del veggente torinese Gustavo Rol (su cui Dell’Olio sta conducendo ricerche appassionate da diversi anni, e che sarà protagonista del suo prossimo lavoro).
“Il profilo umano di Zeffirelli si presentava, all’esterno, come quello di una persona molto positiva. Tutti ne ricordano la generosità: ospitò vecchie attrici in difficoltà e provvide a pagare per chi aveva problemi di cure o di sfratto. Guadagnò moltissimo, spese di più, ma pensava malgrado tutto di non fare abbastanza per gli altri”, spiega Dell’Olio. “Eppure serbò sempre sotto traccia la sua interiorità, per un pudore maturato nelle esperienze amare di un’infanzia da figlio illegittimo che non poteva essere riconosciuto nella Firenze piccola di un secolo fa, dove questa irregolarità si scontava. Alla parte nascosta di Zeffirelli è dedicata l’ultima mezz’ora del mio film. Per scoprire l’uomo che si nascondeva dietro la socialità sontuosa di casa sua, dove alle feste potevi incontrare Liza Minnelli e l’imbianchino che gli aveva pitturato le persiane”.
Come doveva essere per chi va all’Opera, o come le regie di Zeffirelli sempre vollero che fosse: l’allestimento consono alla partitura, al soggetto, all’autore. Un sogno aperto a tutti perché l’arte apre dove la vita chiude.