R accontare storie sembra sia diventato l’unico modo per fare comunicazione oggi, avvicinando – e a volte facendo interagire in maniera anche incestuosa – mondi tra loro diversi e lontani: pubblicitari, creativi, scrittori, sceneggiatori, programmatori, giornalisti. Una volta si faceva pubblicità dicendo che un brand è buono. A volte, in America, si diceva che altri brand erano cattivi. E ancora: un tempo si promuoveva un film facendo tour mondiali con i protagonisti, mandando in onda trailer e regalando gadget. I videogiochi erano pubblicizzati in ambienti di nicchia, nei grandi raduni, promossi con gadget e con pupazzi che rappresentano i vari eroi.
E poi c’è il mondo del giornalismo, dove la notizia era ciò che contava e dove il lettore si catturava con un titolo accattivante, con un articolo ricco di particolari e rivelazioni e con la serietà del giornalista. Era quello in cui, per dirla citando Ludwig Wittgenstein, “il mondo è tutto ciò che accade” e “ciò che accade, il fatto, è il sussistere di stati di cose”. Oggi questo è cambiato. In realtà è cambiato da qualche decennio, da quando i filosofi cosiddetti postmoderni fecero loro la frase di Friedrich Nietzche per cui “non esistono fatti, ma solo interpretazioni”. E così fu posta la pietra tombale sulle ‘grandi narrazioni’ (comunismo, capitalismo, marxismo, e altri ‘ismi’ vari) per dar libero sfogo alle piccole narrazioni: se non esiste più la Storia, si disse, allora noi creiamo le storie. E ci immergiamo le persone.
Lo ‘storytelling’ fece il suo debutto in società e oggi è assoluto protagonista in tutto ciò che riguarda la comunicazione. Lo hanno scoperto gli sceneggiatori già molti anni fa, quando intuirono che creare mondi di fiction era fondamentale per coinvolgere il pubblico. Bastava prendere ad esempio la trilogia del ‘Signore degli Anelli’ di J.R.R. Tolkien e si capiva come la forza del racconto era la storia immersa nel mondo creato nei minimi dettagli (dall’alfabeto alla genealogia, dalle storie del passato alle leggende). Così George Lucas con ‘Star Wars’, ma anche ‘Star Trek’, ‘Doctor Who’ e tante altre serie o saghe hanno sfruttato questa filosofia: raccontare storie e immergerle in un contesto che diventa più vero del vero.
Di tutto questo, dei meccanismi e delle regole che guidano chi crea mondi e inventa storie – per spot, per promozione di film o serie tv o videogame, per vendere giornali – ne parla diffusamente uno dei più importanti ‘storytellers’ del mondo, il professor Frank Rose, direttore del seminario di Storytelling della Columbia University di New York e direttore del Digital Storytelling Lab, nel suo ultimo libro, ‘Il mare in cui nuotiamo’ (Codice Edizioni, pagg. 269 – Prezzo: 25 euro)
“Nel mio lavoro alla Columbia University ho individuato nove elementi chiave in una storia, ciascuno dei quali verrà approfondito in questa parte del libro – spiega Rose - i primi tre sono fondamentali: 1. Autore: chi racconta la storia. 2. Viaggio: gli eventi della storia stessa, che avendo un inizio, una fase intermedia e una conclusione cominciano in un punto preciso nel tempo e nello spazio e si concludono in un altro, con qualche genere di conflitto da affrontare strada facendo. 3. Pubblico: a chi è rivolta la storia”.
“Ridotta all’osso, ogni storia è un’esperienza in cui un autore accompagna il suo pubblico in un viaggio - scrive il professore - di fatto, dunque, l’autore è una guida verso mete sconosciute, e come ogni guida ha bisogno di un terreno sicuro. Ecco perché la prima cosa che dovete sapere come storyteller è: chi siete voi, e perché state raccontando questa storia? Qual è il vostro scopo, e in che modo la storia che state raccontando contribuirà a promuoverlo? La seconda cosa che dovete scoprire è: a chi la state raccontando, e perché questa persona dovrebbe avere voglia di ascoltarla? Solo quando vi sarete dati queste risposte sarete pronti a iniziare il viaggio. Anche gli altri sei elementi sono essenziali – aggiunge - e in certi casi si esprimono in modo molto diverso oggi, nel mondo digitale in cui viviamo, rispetto a quanto accadeva nell’era della comunicazione di massa predigitale: 4. Personaggio: gli esseri umani (o umanoidi) che popolano la storia.
5. Mondo: quello che una volta veniva chiamata ambientazione, prima che il nostro concetto di ambientazione si ampliasse fino a includere il pubblico, non solo i personaggi. 6. Dettaglio: le specificità della storia. Un racconto non è niente se non è specifico, ma il bisogno di dettagli può variare drasticamente in base al tipo di storia che si sta raccontando, e a chi. 7. Voce: il modo in cui l’autore parla. 8. Piattaforma: quello che una volta veniva chiamato medium, prima che il nostro concetto di mezzo si ampliasse fino ad abbracciare tutti i media possibili. 9. Immersione: la capacità della storia di catturare la nostra immaginazione, di farci perdere in essa. Oppure di coinvolgerci a un livello che rasenta l’ossessione”.
“Tutti e nove gli elementi giocano un ruolo importante – continua Frank Rose - e sono così strettamente intrecciati che può risultare difficile separarli. La loro forza nasce proprio da questa interazione: presi singolarmente risultano inerti, ma una volta combinati possono, come Walt Whitman, contenere moltitudini”. E così illustra, passando da citazioni immortali come ‘Anna Kerenina’, ‘Madame Bovary’ o ‘Il Signore degli Anelli’ ad altre più popolari come ‘Star Wars’, ‘Lost’, ‘Wonderland’ o ‘Pulp Fiction’, cosa significhi raccontare storie e come sia importante coinvolgere lo spettatore o il lettore.
Nel libro Rose, che non è un giornalista, riesce comunque a cogliere quello che è il motivo più controverso di questo mestiere. Lo fa partendo dalla citazione di un discorso di un premio Nobel. “Mezzo secolo fa, in una conferenza finanziata dalla Johns Hopkins University e dalla Brookings Institution, l’economista e futuro premio Nobel Herbert A. Simon raccontò una storia che parlava di conigli – scrive Rose - i suoi vicini di casa avevano comprato una coppia di coniglietti come regalo di Pasqua per la figlia, ma dato che uno era maschio e l’altro femmina, presto quella famiglia si ritrovò a vivere, per citare Simon, in ‘un mondo ricco di conigli’. Questo ebbe conseguenze sull’intero vicinato, e persino in termini di disponibilità di cibo locale. ‘Un mondo ricco di conigli è un mondo povero di lattuga - sottolineò Simon - e viceversa’.
Mi dispiace deludere gli amanti degli animali, ma Simon non era lì per parlare di conigli. Il vero tema della conferenza – spiega Frank Rose - era l’informazione, che già all’epoca sembrava stesse crescendo rapidamente, e offrì una riflessione che in seguito sarebbe stata citata un’infinità di volte: in un mondo ricco di informazioni, tale ricchezza comporta la penuria di qualcos’altro, ovvero la scarsità di ciò che l’informazione consuma. E ciò che l’informazione consuma è piuttosto ovvio: l’attenzione dei suoi destinatari. Di conseguenza, una ricchezza di informazioni determina una povertà di attenzione, nonché la necessità di allocare quest’ultima in modo efficiente. E così – conclude Rose - all’alba dell’era dell’informazione, nacque l’idea che viviamo in una ‘economia dell’attenzione’, in cui un eccesso di informazioni ci porta a fare i conti con un deficit di attenzione.
Era un concetto rivoluzionario”. Oggi il giornalismo ha adottato lo storytelling proprio per ovviare al problema posto da Simon: per catturare l’attenzione in un mondo pieno di informazioni (notizia) devi fare qualcosa di diverso, quindi racconti storie. E oggi è più che mai evidente quando, di fronte alla guerra in Ucraina, alle notizie dei bombardamenti e delle violenze si susseguono le storie d cittadini ucraini, di mamme russe, di atleti, di persone comuni. Storytelling e narrazioni, storie che servono a raccontare la cronaca meglio delle notizie stesse.
Nel suo libro Frank Rose parla poco di giornalismo. E’ un aspetto fondamentale della comunicazione, ma il docente della Columbia University sembra avere a cuore più l’aspetto letterario. E così sembra che il suo lettore di riferimento sia l’aspirante scrittore. A lui dedica attenzione e a lui dispensa consigli sotto forma di regole che, comunque, si affretta a derubricare a “semplici indicazioni”: “Il vostro approccio dipenderà dal tipo di storia che intendete raccontare – scrive Rose - ma anche da chi siete voi, cosa di cui vi renderete pienamente conto appena troverete la vostra voce”.