AGI - Il mondo lo hanno fatto le strade e i passi che le hanno percorse. Se si pensa agli innumerevoli sentieri segnati dalla Bibbia, alle consolari che – tutte – portano a Roma, al vagare di Renzo Tramaglino da un comune all’altro, l’esperienza umana è legata a doppio filo al suo girovagare. E prima che l’aereo trasformasse il viaggio in una sorta di salto spazio-temporale, c’è stata un’epoca nemmeno troppo lunga in cui al lento pede del pellegrino e alle sfrenate corse delle diligenze, si è sostituito lo sferragliare dei treni.
Non c’è bambino che non si incanti alla visione di una locomotiva, che sia una Big Boy della Union Pacific o un ETR 1000 di Trenitalia, così come non c’è adulto che non rimanga affascinato dalla scoperta di una stazione dismessa.
Di casolari, fienili, case coloniche e case cantoniere abbandonate l’Italia è piena, eppure nessuna di queste suscita la fascinazione di una stazione abbandonata. Il motivo è semplice: la stazione è il luogo di transito per antonomasia, è il luogo delle attese, degli addii e degli abbracci, delle speranze e delle delusioni, delle fughe e degli arrivi. È il luogo degli amanti e degli assassini, dei travet e dei disperati, è il luogo dove le storie non iniziano e non finiscono mai, ma dove transitano.
Entrando in una stazione abbandonata si avvertono ancora le vibrazioni delle migliaia – a volte milioni – di vite che vi sono passate e quando si tratta di stazioni minuscole, quelle vibrazioni sono più forti, più nette, più distinte. Si distinguono meglio, come le voci nel silenzio di una sala d’aspetto deserta rispetto a quelle nel vociare caotico delle grandi stazioni.
Raccontare una stazione abbandonata significa ridare consistenza ai fantasmi che ancora la abitano e che possono essere quelle dei passeggeri – che come una scia di profumo hanno lasciato lì l’ultimo pensiero prima di salire in carrozza – ma anche quelle di chi le ha abitate trasformando in casa quello che è il luogo d’elezione della transitorietà.
Vale la pena ricordare il bellissimo romanzo di Paolo Casadio ‘Il bambino del treno’, ambientato in quella che oggi è forse la più abbandonata tra le stazioni abbandonate e che nel racconto è animata e vivace come una commedia, pur custodendo – come del resto ogni commedia – il seme della tragedia. Dalla stazione di Fornello prende piede la narrazione di Casadio e da questo minuscolo edificio rosa abbandonato lungo la linea ferroviaria Faentina, al limitare della valle del Muccione, prende vita un altro progetto, voluto dallo stesso scrittore e da un altro autore, Paolo Ciampi, per restituire la stazione a chi può viverla ancora.
‘Prossima stazione Fornello’ è una raccolta di undici racconti di altrettanti autori (Simona Baldelli, Ugo Barbàra, Fioly Bocca, Paolo Casadio, Paolo Ciampi, Nevio Galeati, Giulio Massobrio, Silvia Montemurro, Barbara Notaro Dietrich, Marisa Salabelle, Massimiliano Scudeletti) che hanno per teatro – o per cuore e fulcro – una stazione abbandonata. È stata pubblicata da I libri di Mompracem (163 pagine, 16 euro) come scintilla per il crowdfunding finalizzato al recupero della stazione di Fornello e di tante stazioni dismesse che potrebbero essere restituite alle loro collettività.
Del resto la rete ferroviaria dismessa – i famosi rami secchi che si stendono lungo territori mai troppo abitati e condannati all’abbandono dall’esplosione dell’inurbamento iniziata nel secondo dopoguerra – è incredibilmente estesa ed è costellata da una miriade di queste piccole costruzioni che oltre a portare ancora il nome in lettere scolorite dal tempo, custodiscono migliaia di frammenti di storie. Da raccontare e da vivere.