AGI - La presunzione di noi occidentali è sempre stata quella di sapere cosa è bene e cosa è male. Se pensiamo al colonialismo ce ne rendiamo conto benissimo, con tutte le conseguenze negative, soprattutto, e positive. Sappiamo, oggi, quanti danni ha provocato.
Questa presunzione, nolenti o volenti – appartiene al nostro dna – permea anche coloro che fanno dell’aiuto a quella parte di mondo messo ai margini, di chi soffre, una bandiera.
Sappiamo, ancora oggi, ciò che è bene e ciò che è male, non solo per noi ma anche per coloro che abbiamo la presunzione di aiutare.
Allora un libro, che nel suo titolo ha la parola “imparare” – è già un programma – ci sorprende. E che l’abbia scritto don Dante Carraro, a capo di una delle più grandi organizzazioni non governative italiane e internazionali, ci sorprende ancora di più. Stiamo parlando di “Quello che possiamo imparare dall’Africa”, scritto, appunto, dal direttore della ong Medici con l’Africa Cuamm, insieme a Paolo di Paolo, scrittore, per i tipi di Laterza (148 pagine, 18 euro).
Ma cosa di racconta questo libro? Lo scrive lo stesso Carraro: “L’Africa ci insegna, o almeno a me ha insegnato, che il lamento serve a poco; ciò che fa la differenza è passare dal lamento al rammendo. E trovare strade nuove per dare valore a quanto ci sembrava perduto. Mi ha insegnato a mettere alla prova tutti gli schemi fissi, compreso un certo delirio di onnipotenza occidentale. Mi ha insegnato che la frugalità non è un limite, ma può diventare un’opportunità per fare leva più sull’intelligenza e lo studio che sul denaro. E a non avere paura dei figli: sono vita, coraggio, sfida, futuro, entusiasmo”.
Il libro racconta, in prima persona, la storia di un ragazzo della provincia veneta, neolaureato in medicina, che comincia a interrogarsi su sé stesso e sceglie di diventare sacerdote, impegnandosi nelle chiese di periferia, venendo a contatto con ambienti sociali difficili.
Poi il vescovo di Padova lo manda al Cuamm, lì incontra il fondatore Francesco Canova e il direttore Luigi Mazzucato. Nel 1995 il suo primo viaggio in Africa nel Mozambico da poco uscito dalla guerra civile.
È l’inizio di un’avventura personale e collettiva, tutta interna alla più grande organizzazione italiana in Africa, che coinvolge soprattutto le fasce più deboli della popolazione – con programmi di cura e prevenzione, interventi di sviluppo delle strutture sanitarie, attività dedicate ai malati, formazione di medici e infermieri, ostetriche e altre figure professionali e che ha costruito presidi medici in 43 paesi.
Attualmente è presente in Angola, Etiopia, Mozambico, Repubblica Centrafricana, Tanzania, Sierra Leone, Sud Sudan e Uganda. Una presenza stabile e strutturata in cui – come scrive Carraro – c’è molto da fare per formare medici e strutture autosufficienti, “ma c’è anche molto da imparare. Non solo sugli africani, ad esempio sul loro rapporto con la natura, ma anche su di noi occidentali, capaci di tirar fuori risorse inaspettate quando ci confrontiamo con realtà così estreme e lontane”.
Aiutarli a casa loro? Si interroga don Dante, “sì, certamente, se comprendiamo che l’Africa non è quel monolite stereotipato che pensiamo, ma una realtà molto diversificata. E se siamo in grado di uscire da una logica di emergenza per entrare in una solidarietà nel tempo, nella consapevolezza di un destino comune”. Insomma non “per l’Africa”, ma “con l’Africa”.
Nell’introduzione al libro intitolata “Un parto epocale”, Claudio Magris scrive che se “il mondo ha senso, lo si deve a persone come loro e a tanti altri e altre non meno protagonisti in questa impari ma accanita e intrepida lotta contro l’infamia del dolore, dello sfruttamento, di violenze innominabili”.
E poi aggiunge: “Non riusciranno, probabilmente, a mitigare di molto la violenza e l’orrore di questa gravidanza epocale, ma quel tanto o poco che riescono e riusciranno a fare, e che sembra così piccolo nell’immane schermo della storia mondiale, ha un valore inestimabile. E per il resto, come ha detto un mio amico sacerdote, che anche il Padreterno si prenda una buona volta le sue responsabilità…”.
Un libro, dunque, tutto da leggere. Un libro che ci aiuta a uscire dallo stereotipo che noi occidentali sappiamo cosa è bene e cosa è male, non solo per noi, ma anche per coloro che abbiamo la presunzione di aiutare. Sarebbe un cambio di paradigma straordinario.