AGI C'è la storia delle miniere del Sulcis-Iglesiente, attive in Sardegna tra la fine dell'800 e la fine del 900, in un centinaio di interviste a operaie e operai, impiegati, medici e dirigenti raccolte in cinque anni, dal 2010, per il progetto 'Il lavoro e la memoria'. Ora questa raccolta, riordinata e descritta nel 2019 da Alessandro Cuccu, responsabile dell'Archivio di Igea, società in house della Regione, è online, nella biblioteca digitale del ministero della Cultura 'Ti racconto la storia', curata dalla direzione generale Archivi e dall'istituto centrale per gli archivi, come portale tematico del sistema archivistico nazionale (San).
L'idea di una collezione di fonti orali minerarie è stata di Pietro Angelo Tocco, per anni responsabile dell'Archivio storico minerario di Igea. Le interviste sono state raccolte dall'antropologa Agostina Bua e dalla storica Francesca Allenza. Adesso 'Il lavoro e la memoria' è disponibile online grazie a un progetto di digitalizzazione, indicizzazione e descrizione sviluppato attraverso un accordo di collaborazione scientifica tra il dipartimento di Scienze della formazione dell'università di Roma Tre, la Soprintendenza archivistica della Sardegna e l'Istituto centrale per gli archivi.
Vi hanno lavorato Liliosa Azara, docente di Storia contemporanea e Storia delle donne a Roma Tre, con Eloisa Betti dell'università di Bologna, la soprintendente archivistica della Sardegna Monica Grossi con Cosuelo Costa e la dirigente dell'Istituto centrale per gli archivi, Elisabetta Reale, con Pasquale Orsini.
Così la miniera plasmava l'identità sociale
“Sono sarda e questo lavoro”, premette Liliosa Azara, contattata dall'AGI, “nasce non solo da un interesse storico scientifico ma, in qualche misura, anche emotivo. Prende le mosse da un progetto che presentai in Dipartimento qualche anno fa, che era focalizzato sulla memoria e identità in prospettiva di genere. All’epoca l’interesse era orientato soprattutto alla riscoperta del lavoro delle donne sarde in miniera".
"Abbiamo lavorato poi su un fondo audiovisivo, composto da oltre cento videointerviste, realizzate negli anni 2000, da due studiose", racconta Azara. "È una sistematizzazione delle fonti orali di uomini e donne che hanno lavorato in un arco temporale molto ampio, nel ‘900, che restituisce il senso di un lavoro importante e diffuso nelle miniere del Sulcis, dando l’immagine di quella che erano l’attività produttiva, i mezzi di produzione, ma soprattutto di quanto la miniera finisse per plasmare anche l’attività sociale, la vita culturale e quella familiare”.
La miniera, dunque, viene vista e descritta come elemento di identità dei luoghi, in una zona della Sardegna dove il processo di deindustrializzazione ha lasciato strascichi pesanti e una situazione di malessere sociale ed economico. “Ci sembrava che questo progetto”, spiega la docente, “potesse restituire il volto e la voce a donne e uomini che quella storia l’hanno fatta".
“Il fondo adesso è stato indicizzato, metadatato attraverso un thesaurus", precisa Azara, "e si può fare la ricerca per parole chiave, inserendo i nomi delle persone, dei luoghi in cui hanno lavorato, dei giacimenti o delle gallerie di estrazione".
Il ruolo delle donne
"Le cinque donne videointervistate non lavoravano nel sottosuolo, ma nei piazzali antistanti la miniera dove si occupavano della cernita e dei lavaggi dei minerali estratti", evidenzia Azara. "Ci sono alcuni elementi hanno consentito anche la ricostruzione della condizione di giovani donne nubili in Sardegna in quegli anni, le quali vivevano il lavoro in miniera come occupazione che di norma precedeva il matrimonio e che, di solito, dopo il matrimonio, si interrompeva per volere del marito".
"Tra l’altro", ricorda la docente, "nelle miniere non c’erano i dormitori per le donne e loro erano costrette a un pendolarismo giornaliero, da Guspini o dai paesi circostanti. Andavano a piedi la mattina e la sera rientravano a casa, con una fatica ulteriore legata allo spostamento. I profili di queste donne intervistate sono straordinari perché da alcuni emerge anche una fortissima autodeterminazione. Preferivano andare a lavorare in miniera anziché come domestiche. La possiamo ritenere una condizione di riscatto perché si trattava di lavorare in un contesto esterno a quello domestico, dove percepivano un salario".
"Ciò che vogliamo fare in prospettiva futura è non considerare il caso sardo come una monade che viva di vita propria", anticipa la docente dell'università di Roma Tre, "ma utilizzare anche un approccio comparativo con esperienze simili fatte in altre parte d'Europa e oltre e avviare un processo di internazionalizzazione di questo studio”.
L'iniziativa rientra nel progetto conoscitivo e di valorizzazione degli archivi storici della Sardegna, a cura della Soprintendenza archivistica, col finanziamento della Fondazione di Sardegna.