AGI - Dopo aver conquistato la scena indie italiana ed essersi guadagnati la vetrina del Festival di Sanremo, ormai un anno fa, tornano Veronica Lucchesi e Dario Mangiaracina, che il pubblico italiano che segue con una certa attenzione quel che avviene nel mondo della musica conoscerà meglio come La Rappresentante di Lista.
Ma quello che i due ragazzi propongono stavolta non è un disco, ma un romanzo scritto a quattro mani dal titolo “Maimamma”, pubblicato dalla casa editrice Il Saggiatore.
Lavinia si ritrova incinta ad un passo dalla fine del mondo, in bilico tra la scoperta di tanti aspetti dell’esistenza che la fanno guardare avanti, anche quando avanti non c’è niente, e il passato, che è l’unica visuale disponibile quando la vita sta per cessare di esistere.
Qual è stata l’esigenza che vi ha spinti ad avventurarvi nel mondo della letteratura?
Dario: Non è semplice rispondere, è quello che ci chiediamo ogni volta che pubblichiamo qualcosa. C’è tanta di quella roba in giro che uno pensa “Devo veramente aggiungere altre informazioni all’universo?”, c’è un po' una necessità che è dettata dalla fantasia, dalla voglia di raccontarsi, ma soprattutto, una cosa che diciamo spesso e ci crediamo molto, raccontare la propria storia è un modo di sentirsi meno soli, perché se c’è qualcuno che si rivede in quella storia vuol dire che ci poniamo le stesse domande, crediamo negli stessi ideali, ragioniamo sulle stesse lotte etc, etc…Quindi probabilmente è questa sensazione qui ad aver unito me e Veronica in primo luogo e poi ci porta a ragionare sulla possibilità di pubblicare qualcosa. Lungi da noi l’idea di inserirci nel filone dei musicisti che fanno libri, anzi ci teniamo fortemente a raccontare questo come un progetto che prescinde da La Rappresentante di Lista, nel senso che è un progetto che è nato anche prima che io e Veronica ci formassimo come realtà musicale, è un racconto che è già stato uno spettacolo teatrale e da qui abbiamo anche attinto per scrivere il nostro ultimo disco. È un po' un canovaccio che ci portiamo dietro da parecchio tempo”
C’è una certa urgenza nel raccontare, nello scrivere, la stessa che si nota ascoltando i vostri dischi….
Veronica: Effettivamente è quella che ci spinge ad affrontare la vita: l’urgenza, questa necessità. Le cose si fanno perché esiste quel fuoco che ti porta a vibrare di fronte a quello che ti piace e a quello che non ti sta bene. La stessa Lavinia, la protagonista del libro, è come se sentisse questa voglia di tradurre immediatamente quello che le arriva addosso, che vive nel corpo, e quindi queste vibrazioni poi arrivano anche nel testo scritto e mi piace che riesca a leggersi anche questa modalità.
L’ambientazione apocalittica è un modo per mettere i personaggi alle strette con la propria vita?
Dario: Mi viene in mente che spesso in teatro, nelle storie, esasperare certi tratti della nostra esistenza per farne poi spettacolo serve a fare arrivare cose che poi alla fine sono quotidiane, normali…in questo caso mi piace molto che la fine del mondo possa essere quasi un occhio di bue, quella roba per cui ad un certo punto diciamo “Fermi tutti, analizziamo dove stiamo andando e dove vogliamo andare”. Poi dentro “Maimamma” la fine del mondo è anche un po' la fine del suo mondo, lei più volte lo ribadisce durante quello che diventa un soliloquio, un io monologante. Dice: “è finito il mio momento da protagonista”, quindi ci piaceva anche questo parallelismo tra la fine del mondo e tutta la questione ambientalista, i ragionamenti su come stiamo trattando questo pianeta, e allo stesso tempo ai 30 anni, il mondo per come l’abbiamo vissuto finora, in questa post adolescenza tardiva, sta per finire e dobbiamo necessariamente e finalmente diventare adulti.
Come funziona una scrittura a quattro mani?
Veronica: In realtà per noi funziona un po' come nella musica, non esiste effettivamente un momento in cui scriviamo insieme, anche perché è impossibile, dovremmo tenere entrambi la penna con la mano destra e avere le menti veramente allineate…
Dario: Litighiamo…
Veronica: Si, litighiamo moltissimo (e ride), ci scontriamo, ci mettiamo in crisi, ci odiamo e creiamo delle piccole solitudini stando insieme. È un po' come quando si sta in coppia e si cerca di mantenere comunque la propria individualità.
Questa cosa dei silenzi ricorda tanto il rapporto tra Lavinia e Lu…
Veronica: Esattamente, ci sono dei lunghi silenzi, ci sono dei lunghi momenti di solitudine, anche in un ambiente in cui effettivamente siamo insieme. Si lascia spazio a un pensiero di concretizzarsi e poi, insieme all’altro, lo distruggiamo, lo ricostruiamo, lo modelliamo, cercando non per forza di scendere a totali compromessi, ma di trovare un equilibrio, un’armonia, cerchiamo anche di fidarci; Dario si fida di me, io di lui, e molto probabilmente se senti che una cosa debba andare in una direzione cerchi di lasciarti convincere dall’idea dell’altro, pensando che non stia mai andando verso una direzione negativa, lo stiamo facendo per il bene di quello che vogliamo dire.
Dario: In effetti ci sono stati degli episodi in cui sia io che Veronica ci siamo letteralmente impuntati su una roba che doveva andare in quel modo e non c’è stato verso di cambiarla. Questo è anche un po' il bello di questo romanzo, almeno per quello che è stato il processo, mi perdo e non saprei dire chi ha scritto quale pezzo, ma ci sono dei momenti, alcune parti, in cui riconosco la penna di Veronica e la mia.
Anch’io, devo ammetterlo, c’ho provato a distinguere…
Dario: Be si, è anche una cosa divertente
Il rapporto che la protagonista ha con il proprio corpo, visto quasi in maniera distaccata, il che rende forse più facile per lei parlarne con tale libertà, ricorda un po' la carnalità della vostra scrittura in musica…
Dario: Ti dirò che in questo romanzo abbiamo avuto anche la possibilità di accentuare la parte corporea, erotica, forse c’è ancora più corpo che nelle canzoni. Perché nelle canzoni alle volte devi fare una sintesi, qui abbiamo lasciato spazio alle parole, Veronica ama tantissimo Ágota Kristóf, questa scrittrice cui libro più famoso è “Trilogia della città di K.” e da lei abbiamo imparato (speriamo!) il suo modo di essere cruda, senza troppi ghirigori, per raccontare il corpo, la violenza, l’erotismo, quello è veramente un aspetto affascinante.
Un’altra cosa che mi ha colpito è il rapporto con il tempo: il mondo sta per finire e la protagonista rimane incastrata tra passato e futuro. Voi vi siete immedesimati, vi siete chiesti “Domani finisse il mondo, cosa faremmo oggi?”?
Veronica: Io ho sempre vissuto in adolescenza una sensazione di ritardo, mi sentivo sempre in ritardo, come se mi fossi risvegliata in ritardo, e mi sembrava di aver perso un sacco di tempo prima di aver capito la strada giusta, quella che volevo intraprendere. Ho cominciato a conoscere il teatro a 18 anni e a 21 mi sembrava già di essere vecchia, troppo grande per iniziare un percorso, mi dicevo che avrei dovuto cominciare prima, che la mia vita era finita, cose di questo tipo. Oggi questa sensazione devo dire che ancora un po' ce l’ho, di questo tempo che scorre, di questo corpo che cambia, della Veronica che inizia ad avere anche delle altre necessità che magari non vanno sempre in linea con quello che sto facendo, ed è come se non riuscissi a trovare un equilibrio preciso tra me, i miei desideri e la mia ricerca di pace. Il tempo non è un argomento semplice insomma…
Questo ragionamento sul tempo è ovvio che dipende anche da ciò che vi sta accadendo. Sanremo vi ha dato una popolarità ben più ampia e mi chiedevo in che modo la vostra vita è cambiata in questo senso.
Veronica: Noi più o meno facciamo una vita sempre uguale. È questo che sappiamo fare: scrivere musica, alle volte scrivere romanzi, pensare al nostro veramente come a un progetto. La Rappresentante di Lista è un cantiere aperto, un luogo e uno spazio dell’immaginazione dove dentro esiste il tempo per sbagliare, per cercare… quindi potrebbe essere oggi un romanzo, domani un altro disco, domani due figure che cercano di fare i registi di un’opera lirica. Il rapporto con quello che è successo è abbastanza sano vivendolo da dentro, perché da dentro tu fai un passo alla volta, non cadi dalla cresta dell’onda, perché hai vissuto ogni gradino e tutti i passaggi, quindi diciamo che i cambiamenti non sono mai troppo netti. Del resto però il nostro pubblico si è ampliato, chi ci ha conosciuto grazie a Sanremo è andato a riscoprire la nostra discografia, quindi è un affetto sempre più grande che sinceramente ti sorprende ogni giorno e ti lascia con quella voglia e quella necessità di cui parlavamo prima, di dire le cose ancora con più forza.
Voi due vi siete conosciuti lavorando in teatro. Qual è il vostro rapporto oggi con il teatro? Dato che nella vostra musica, anche in questo libro, come elemento è sempre ampiamente presente…
Veronica: è un rapporto di profondo amore, io credo di non averlo mai odiato, credo che tutt’oggi sia il bagaglio più importante che ci portiamo dietro. In questo momento non siamo in scena da qualche tempo, perché ovviamente abbiamo molti impegni, ma questo non significa che non si possano riaprire quelle porte e il sipario. Il primo amore non si scorda mai e tutt’oggi ci offre degli strumenti strepitosi per stare in scena e dire quello che vogliamo dire.