AGI - L'Astarte dei Fenici è una bellissima donna dai capelli rossi, un volto bianco lucente, tanto che i greci la chiamavano 'Aglaia' "luminosa, pura". È lei la dea del Mediterraneo - degli odi e degli amori di un mare che ancora oggi, dal Libano a Israele alla Palestina, tenta di trovare pace tra umane vendette - raffigurata in una terracotta trovata nell'isola di Mozia nel corso di una campagna di scavi portata avanti dall’università La Sapienza e dalla Soprintendenza dei Beni Culturali di Trapani.
"Nel 2007 trovammo una testa di pietra della dea, ma era rovinata, totalmente erosa. Quella trovata adesso e' conservata perfettamente, come nuova, con i suoi colori e un volto brillante, bianco, luminoso", spiega all'AGI Lorenzo Nigro, capo del team di archeologi a Mozia, professore ordinario di Archeologia e Storia dell'arte del Vicino Oriente antico e Archeologia fenicio-punica.
È una bella donna, dunque? "Bellissima", aggiunge Nigro, che ha scavato in lungo e in largo per il Mediterraneo, dalla Sicilia al Libano, dalla Giordania all'Egitto, e sembra essersi già innamorato di lei: "Astarte è una messaggera di pace - aggiunge sorridendo - ma può essere anche vendicativa, come sanno tutti quelli che si infilano in questioni d'amore. Il volto di Astarte - compagna del dio Baal, la principale divinità dei Fenici, signore delle acque marine e sotterranee, dio della tempesta e della fecondità - era nascosto poco fuori del recinto sacro, in un punto facilmente individuabile e ben protetto, in "uno dei santuari piu' ampi e affascinanti del Mediterraneo antico, quello dell'Area sacra del Kothon".
I Fenici temevano un assalto dei greci, con cui commerciavano ma di cui non si fidavano del tutto. E avevano ragione, visto che nel 397/6a.C Dionigi di Siracusa avrebbe sferrato un attacco violentissimo che distrusse l'isola, un luogo tra i più affascinanti del mondo ieri come oggi, al centro dello stagnone di Marsala, dove lo spettacolo del tramonto sulle saline fa da sfondo agli scavi. Il volto di Astarte trovato a Mozia fu realizzato più o meno cento anni prima, tra il 520 a.C e il 480 a.C., data cruciale quest'ultima per la nascita della Sicilia greca, quando i Cartaginesi furono sconfitti nella terribile e decisiva battaglia di Himera.
I Fenici di Mozia sapevano di avere le ore contate. E sapevano che Cartagine non li avrebbe difesi. "La testa fu realizzata a Selinunte o a Gela, acquistata dai greci, poiché nel V secolo a.C. gli artigiani più bravi erano i greci. Quella fenicia era una società cosmopolita, dove le due comunità vivevano insieme, tanto è vero che una delle iscrizioni del tempio a cui si riferisce questa testa e' in fenicio, e nomina 'Astarte', e l'altra indica 'Aglaia'". "I fenici e i greci - prosegue Nigro, autore, tra l'altro, di due gialli archeologici per le edizioni Il Vomere - erano rivali nel commercio, e tra loro vi furono scontri e guerre, ma in Sicilia, a Mozia, c'era una comunità greca che si era integrata. Mozia era una città molto aperta, e proprio per questa sua apertura si vide sostanzialmente abbandonata da Cartagine, che sembro' rimproverarle questo contatto con i greci. 'Se siete stati tanto amici dei greci - sentenzio' nei fatti Cartagine - beh adesso beccateveli!".
I moziesi nascosero Astarte in una fossa circolare di circa un metro di diametro, accanto ad altri due oggetti, sempre in terracotta: un disco con la rappresentazione di una rosetta a rilievo e uno stampo raffigurante un delfino dal grande occhio naive, che hanno portato alla scoperta del volto. L'effige si trovava al centro della stipe, deposta, rovesciata, sullo strato di ocra. La rosetta, con tracce di doratura, è uno dei simboli più diffusi e popolari in Oriente e nel Mediterraneo.
Questo "ci conferma che è la dea fenicia". "Il rituale del nascondimento è straordinario - sottolinea Nigro - e lo abbiamo ricostruito: è stato versato del profumo sopra la testa rovesciata su un ocra rosso, poi questa è stata ricoperta con offerte simboliche. Il seppellimento è avvenuto poco prima dell'assedio finale di Dionigi di Siracusa. Questa statua è stata in uso per una ottantina d'anni, e poi è stata sepolta prima che arrivassero i nemici: per noi archeologi è stata una fortuna, perché è stata sepolta fuori dal recinto sacro, in un luogo riconoscibile perché c’è un'ancora murata che Sebastiano Tusa, sulla base di analoghi ritrovamenti a Biblo e Ugarit, datò intorno al II millennio a.C. Non era nel tempio che è stato saccheggiato, uno dei tre nell'area sacra del Khoton".
Signora della vita, della riproduzione, dell'amore, ma anche del mare e della navigazione, delle acque dolci e di quelle marine, Astarte è una "dea dai mille volti", che sarà al centro di una prossima mostra che al museo della Sapienza a Roma "ricostruirà la storia di questa divinità dall'epoca dei Sumeri, quando si chiamava Inanna, dea dell'amore e della vendetta, e tutti i volti che la 'Signora' ha assunto nel corso dei secoli: Isthar degli Accadi e degli Assiri e Babilonesi, Hathor e Iside degli Egizi, Astarte fenicia, Afrodite ma anche Hera e, in alcuni casi Demetra, per i Greci. Era una divinità femminile che ha avuto successo perché' nella preistoria del Mediterraneo c'erano tante dee madri, che a un certo punto si sono ritrovate in lei, capace di scendere agli inferi e spogliarsi per salvare il suo amato Baal o Adonis o Osiride e ricondurlo alla vita".
Le indagini del team di Nigro nell'area più meridionale di Mozia sono cominciate nel 2002, sulla scorta dell'individuazione di grande piscina rettangolare di 52,5 metri di lunghezza: era il centro di un'ampia area sacra, con i tre templi maggiori disposti radialmente lungo il perimetro. È da questa scoperta che partì la caccia a Astarte: prima affioro' una statua di culto in terracotta acefala e poi la testa scolpita in calcarenite, fortemente erosa. In un tempietto, detto del Tofet e dedicato alla Tanit dei cartaginesi, furono trovate uova di struzzo votive dipinte, simbolo della vita che continua, e numerose statuette di fedeli, realizzate in terracotta. Nel tempio più antico, infine, fu rinvenuto un vaso a forma di melograno, la pianta sacra alla dea Astarte perché ricchissima di semi, simbolo di fecondità. "Le statue - spiega ancora Nigro - venivano lavate nella vasca sacra, dove c’è l'acqua dolce, risorsa preziosa per le navi dei Fenici. Poi venivano adornate con gioielli e offerte votive, un po' come le nostre madonne di oggi: nel tempio trovammo anni fa qualche gioiello".
Nel corso degli scavi sono affiorati in un grande deposito di offerte uno stampo per pane, un peso da telaio, un flauto realizzato da un metacarpo di caprovino, un cembalo di bronzo, strumenti musicali volutamente arcaici spezzati ritualmente a meta'. E inoltre, una brocca per versare un vino aromatizzato e oggetti sacri alla dea, utilizzati nelle azioni di culto, come un carapace di tartaruga che riporta l'iscrizione l-rbt, ossia "alla Signora". "I moziesi - conclude Nigro - usano il linguaggio universale del V secolo a.C., quello della Sicilia ellenizzata, per raffigurare quanto di più identitario possa esistere: il culto religioso. Ci insegnano la capacita' di assimilare e lasciarsi assimilare, di tradurre e trasmettere senza tradire, che fu tipica degli antichi e, in modo particolare, della Sicilia".