AGI - Siamo nell’età dell’oro dei podcast. I numeri parlano chiaro: gli amanti delle storie da ascoltare sono in continuo aumento. L’ultima fotografia Nielsen certifica una crescita di pubblico del 15 per cento in un anno, passando dai 12 milioni di ascoltatori nel 2019, ai 13,9 milioni del 2020, quasi due milioni di persone in più. E da quando anche il prof Barbero, il professore di storia del Medioevo più amato d’Italia, è diventato protagonista di una audioserie che raccoglie le sue conferenze, davvero sembra che il fenomeno sia destinato solo a diffondersi. Di podcast e del loro mercato, Agi ne ha parlato con Jonathan Zenti, audio e podcast designer, cresciuto nel Nord-Est ma milanese d’adozione, con oltre 18 anni di lavoro e ricerca nel settore, oggi è considerato uno dei massimi esperti in Italia in questo campo. Zenti sarà dal 1 al 3 ottobre a Internazionale a Ferrara, il festival di giornalismo del settimanale Internazionale, dove porterà la nuova edizione di Mondoascolti, la prima rassegna di audiodocumentari italiana, realizzata quest’anno in collaborazione con Spreaker.
Qual è il podcast che segna il Big Bang della podcast-mania?
Non credo ci sia stato un Big Bang, un unico momento che ha dato il via ad un fenomeno. La passione per i podcast è cresciuta progressivamente a partire dal 2006 fino al 2015, in una fase che chi l’ha vissuta chiama “Radio Revolution”: un periodo nel quale i podcast, inglobando elementi nuovi dalla musica, dalle serie TV e dall’arte, hanno iniziato ad essere creativamente più interessanti e potenti della radio. Ci sono stati dei casi più evidenti di altri, come Serial negli Stati Uniti, il quale però non sarebbe esistito senza l’esperienza di This American Life e degli altri podcast che stavano cambiando il mondo dell’audio in quegli anni.
Possiamo mettere a confronto la fruizione di un podcast con quella ad esempio di un film, al di là delle evidenze, la mancanza o la predominanza delle immagini, cosa distingue le due fruizioni?
In questo periodo in cui mi appassionano più le questioni produttive di quelle creative, risponderei “la biglietteria”. Il cinema è un’industria che ha regole e consuetudini che si sono depositate nel corso di un secolo. Il podcast è ancora una terra di conquista, con regole tutte da scrivere (in particolare rispetto allo sfruttamento dei contenuti). Ci sono enormi spazi di manovra per inventare qualcosa di nuovo, ma allo stesso tempo grosse lacune legislative che andrebbero colmate e una enorme libertà di movimento per gli imbroglioni. Per quanto riguarda l’esperienza per uno spettatore, l’unicità dell’esperienza audio (ma da sempre, non solo con il podcast) è quella di non avere una distanza dal contenuto, di non dover essere a una certa distanza per fruirlo, ma di poterci stare dentro, di esserne parte, perché l’ascolto è come una bolla che avvolge la nostra testa e ci mette al centro di una storia.
Dal punto di vista ecoonimico: con il podcast si guadagna? Qual è il modello di business di chi fa podcast? Che mercato è quello italiano?
Con il podcast, come con qualsiasi altra forma d’arte, ci si può arricchire, ci si può guadagnare, ci si può mantenere e ci si può rimettere. Ci si guadagna, ma non tutti. È importante ricordare che il podcast non è un contenuto o una forma, ma è una tecnologia per la diffusione di file audio, per cui è importante conoscere la tecnologia e l’audio come linguaggio per poter tenere le redini del proprio percorso. E anche per questo i modelli di business sono diversi, e dipendono dai presupposti e dagli obiettivi. Il mercato italiano è ovviamente più piccolo di quello statunitense, ma la cosa più interessante in questo momento è il suo potenziale e la sua espansione. Siamo nell’attimo in cui servono contenuti migliori e servono aziende che credano nel potenziale del mezzo, che investano in advertising. È un movimento organico che è iniziato già da un paio d’anni, ma i prossimi due potrebbero avere una accelerata in grado di portare il podcasting fuori dalla sfera della “curiosità” facendolo girare nell’orbita dei prodotti culturali con cui fare i conti.
Qual è il borsino dei podcast in Italia? Chi sono i big? Chi sono i “piccoli ma belli”? Ci aiuta a ricostruire il panorama.
Essendo parte del panorama, faccio fatica a ricostruirlo in maniera obiettiva. Ci sono dei nomi che si sono imposti in questi anni, dalle multinazionali dell’ascolto, agli editori, alle case di produzione. Basta scorrere una qualsiasi classifica di Apple o Spotify per tracciare dei punti nella mappa. Il panorama a cui guardo io è quello dei talenti onesti, di quelli che fanno i podcast per il bisogno di farlo, senza pensare che il proprio prodotto sia bello e importante solo perché lo fanno. Ho una forte allergia verso tutto quello che è pretenzioso. Credo che Chiara Galeazzi e Tania Loschi di Réclame siano delle voci uniche, Giulia Depentor di Camposanto, lo stesso John Modupe che verrà a Ferrara, Filippo Ferrari, Johnny Faina. E poi in un mondo vicino ai podcast ci sono le audiowalk di Marco Stefanelli e quelle del collettivo Wundertruppe, il teatro di Muta Imago, la ricerca sonora di Radio Papesse. Citando una canzone del gruppo Amari, “La soluzione è negli angoli”. Ed è lì che mi piace cercare
Cosa ci dobbiamo aspettare per il futuro? Tendenze? Ritorni?
La buona astrologia non predice il futuro, ma guarda a come si ripete il presente. Siamo in una fase nella quale in pochi, pochissimi, fanno podcast per l’ascoltatore. Oscilliamo tra un costante “Io”, dove le produzioni sono fatte per accarezzare un ego più o meno smisurato, e un “loro”, podcast fatti per altri, siano essi brand, finanziatori, capi, editori. Come dicevo prima, se siamo qui a parlare di podcast oggi è perché c’è stato il movimento della Radio Revolution che per un certo periodo ha messo al centro della propria attenzione l’ascoltatore, si è concentrata su un “tu” diretto, onesto, brutale, che però ha incollato una generazione al proprio cellulare e alle cuffiette. Quello che ci dobbiamo aspettare quindi non lo so, ma quello che mi auguro è un movimento di autori che usino il podcast per far divertire l’ascoltatore, per fargli fare un viaggio, per farlo stare bene - o male, ma che comunque lo metta al centro. Un movimento che possa guadagnare dal podcast ma non come obiettivo, semmai come conseguenza
Ci racconta il suo Problemi? il podcast-tormentone della pandemia?
Problemi era nato nel 2019 dall’esigenza di giocare un po’ con il panorama dei podcast italiani che stava cambiando molto e velocemente. L’idea iniziale era di fare un fiction-mentario dove un’ipotetica ma verosimile versione di me cercava, appunto, di “guadagnare” con i podcast, e poi ogni episodio parlava di uno dei motivi per cui non riuscivo a farlo. Non avrei immaginato che tra questi sarebbe arrivato un blocco totale di un intero pianeta, che ho provato a documentare mentre stava avvenendo. La cosa che mi ha sorpreso è stata la risposta degli ascoltatori. Ho toccato dei nervi scoperti che non immaginavo esistessero, e per molti parlare di fragilità e di fatica dovute a tre mesi di isolamento è stato un modo per accettare quello che di noi stessi abbiamo scoperto durante il primo durissimo lock-down
Ci dice i 3 podcast da non perdere per capire il mondo di oggi?
Queste sono le domande che odio di più perché non so mai quali scegliere. È un’enorme responsabilità. Direi quello che per me è ancora il più bel podcast italiano che sia stato fatto, che è Viaggio in Italia di Guido Piovene del 1954, che si può ascoltare su Radio Techetè. Certo allora il podcast era ancora una tecnologia lontana a venire, ma la sua forma, la scrittura, il lavoro della formidabile redazione radiocronache dell’epoca, farebbe invidia a qualsiasi executive producer contemporaneo. Il podcast che ho riscoperto durante la pandemia è stato Seeing White, la seconda stagione di Scene on Radio della Duke University. Un viaggio personale e planetario, contemporaneo e storico su come abbiamo creato l’idea di “bianco” e di supremazia. E per chiudere direi di continuare ad ascoltare il Podcast di Alessandro Barbero: non solo per capire il mondo di oggi mettendo insieme i pezzi sul mondo di ieri, ma anche per il dono prezioso che continua a farci Fabrizio Mele, che senza chiedere nulla in cambio continua a raccogliere le conferenze di Barbero, sistemarle e pubblicarle per la comunità di ascoltatori.
Per concludere cosa dobbiamo aspettarci da questa nuova edizione di Mondoascolti, la numero 9?
Quest’anno, grazie anche al contributo di Spreaker che supporta la rassegna, abbiamo fatto un passo a cui pensavamo già da tempo, ma che il Covid aveva fermato, ovvero apriamo l’orizzonte anche alla produzione italiana, pur rimanendo fedeli alle tematiche care al Festival. Nella sala 3 del Cinema Apollo avremo sempre 3 documentari in lingua straniera con i sottotitoli, ai quali si aggiungono 6 presentazioni di podcast italiani che in qualche modo hanno lasciato un segno nel 2021. I documentari raccontano di un uomo che ha passato tutta la vita a cercare di ritornare a vivere a Chernobyl, di un conflitto tra elefanti sul confine tra Angola e Botswana e di una coppia di anziani che decide di affrontare il percorso di fine vita in Svizzera. Per i podcast Italiani invece racconteremo la storia della prima donna ad aver fatto un coming out pubblico in Italia con Sara Poma, parleremo di comicità e politicamente corretto con John Modupe, di nuovo Est con Eleonora Sacco e Angelo Zinna, di come si fa a scoprire i podcast con Chiara Sagramola e Giacomo Bagni, del successo di Alessandro Barbero con Fabrizio Mele e io parlerò un po’ del primo lockdown con il mio podcast Problemi.