“Ricostruire l’incendio di Roma è come scrivere una detective story”. Solo che l’intrigo è ipotetico ancorché veritiero, e le prove sono in fumo da duemila anni. Alberto Angela, volto più che noto della divulgazione scientifica, ripercorre i nove giorni del 64 d.C. che, a partire dal 18 luglio, hanno raso al suolo la capitale dell’Impero. L’inferno su Roma è il secondo volume della trilogia su Nerone edita da Harper&Collins: in una data speciale del festival A Tutto Volume di Ragusa, la storia del fuoco su Roma è stata presentata come un film. Agi ha incontrato l’autore.
Il 18 luglio del 64 d.C. si registra forse la prima e più grande fake news della storia: Roma brucia, e l’imperatore è ritenuto responsabile.
È avvenuto nei due sensi: Nerone ha accusato ingiustamente i cristiani, e lui stesso è stato vittima di fake news per la storia, che lo ha dipinto come un principe nero, spietato. Ma né lui né i cristiani sono stati i responsabili dell’incendio. Gli storici sono concordi nel ritenere che il più grande incendio della storia di Roma sia stato un caso, avvenuto in condizioni precise: giornate caldissime, in una città che era quasi interamente fatta di legno. E soprattutto: l’innesco è avvenuto tra i magazzini del Circo Massimo, il più grande deposito di legna di Roma, di notte. Il giorno dopo soffiò il vento, e fu la fine. Roma bruciò per nove giorni.
Lei immagina una lucerna caduta di mano a una ragazza in fuga da un’aggressione, ma potrebbe essere stata qualunque altra cosa. Che Roma era?
Una città da un milione di abitanti. Gli incendi erano facilissimi: si stima che ogni dieci/quindici anni se ne registrasse uno molto grave. Di certo sappiamo che quello del 18 luglio è avvenuto di notte, in una zona che di giorno era molto frequentata, piena di negozi, mentre di notte diventava un bassofondo di Roma, popolato da prostitute, veggenti, pieno di bettole frequentate da ubriachi. Potrebbe essere stata una rissa.
Tutto ma non Nerone, insomma.
Non Nerone. Innanzitutto perché non aveva motivo per dar fuoco a Roma, e poi perché non gli conveniva. Era la città che lui amava, aveva la forza del popolo per tenerla in suo potere perché questo, diversamente dai senatori, stava dalla sua parte. Poteva dar fuoco al popolo che gli garantiva il potere? Incendiando poi anche tante cose che amava: i suoi palazzi, le collezioni, lo stesso Circo Massimo. Le fonti ci dicono che anzi è tornato in fretta da Anzio, dove si trovava in quei giorni, per cercare di aiutare: aprì i suoi palazzi per accogliere gli sfollati. C’è poi un altro fatto cui si pensa poco: nessuno poteva immaginare che incendiando qualche palazzo avrebbe preso fuoco tutta la città.
Un evento pari solo a Pompei, nell’immaginario storico?
Con la differenza che Pompei era una piccola cittadina, mentre questa era la capitale dell’Impero. Quello che mi ha stupito è che nessuno abbia scritto una grande opera su questo evento. Ci sono studi fatti, e bene, da autori esteri, ma sono alti un dito. Credo sia perché gli scavi archeologici non sono stati come quelli di Pompei, e i dati sono pochi. Perciò abbiamo contattato non solo chi ha fatto gli scavi, ma anche vigili del fuoco, metereologi: per ricostruire tutte le circostanze e metterle a sistema.
Una ricostruzione scientifica.
Sì, lo stile è quello di un romanzo per rendere la lettura più piacevole, ma dentro è tutto vero. Anche le persone: i nomi vengono da lapidi, da epigrafi, e si riferiscono a persone che erano a Roma. È affascinante ricostruire come da quel caso sia stata scritta tutta la storia successiva: anche il Vaticano, è sorto dove lo vediamo ora perché dopo l’incendio Nerone radunò i cristiani oltre il Tevere, per punirli davanti al popolo. Su quelle tombe, su quella di Pietro, si è poi concentrata quella comunità.
Quanto ancora resta da scoprire, sotto la Roma che calpestiamo?
Tanto. Ci sono “due Rome”: una è quella che vediamo, i resti della Roma imperiale di marmo, Sotto di essi c’è la Roma che è andata a fuoco, i cui ruderi sono stati livellati e abbattuti per costruire la Roma di Traiano e di Adriano. Non ci pensiamo, ma quella che è comparsa è la Roma di Cesare e di Augusto. In questo senso Nerone ha rifatto una nuova Roma secondo un piano regolatore razionale, è stato un innovatore.
Lei sa di aver creato un fenomeno: migliaia di ragazzi si interessano ai temi della storia e dell’arte seguendo i suoi programmi. Qual è la chiave della narrazione?
Il coinvolgimento. Ci sono due aspetti: il primo è il contenuto, che deve essere nutritivo per la mente. Perché si possa divulgare deve essere appetibile. Come un bel piatto: qualcosa che ti faccia dire “ne voglio ancora”. Quello che trasmettiamo è fondamentale perché è scienza, qualcosa che di solito risulta indigesto. I trattati sembrano spesso scritti da esperti per esperti, tagliando fuori parte di pubblico. Questa è la divulgazione: un libro di archeologia, scritto come un romanzo. Come una detective story: ricerchi i dati di persone che hanno vissuto un fatto storico reale, e li leghi.
Ricerca lunga.
Non sono stato solo: su tutti mi ha aiutato Emilio Quinto. Il piacere è fare qualcosa che non è mai stato fatto. Ci si è occupati dell’incendio, di Nerone, e dei cristiani. Ma mai di ciò che li univa.