L a storia nasce dalla cronaca. Acida, cruda, tagliente storia di Rika. Giovanissima turista giapponese a Roma, piomba all'improvviso in un incubo da cui riuscirà a venir fuori rivelando a se stessa, prima che al mondo, una inaspettata qualità di donna e di guerriera, nascosta fino a quel momento tra le pieghe e le incertezze di una tormentata adolescenza.
S'ispira a un caso di "nera" di una decina d'anni fa l'ultimo romanzo di Mario Vattani, diplomatico e scrittore con una profonda conoscenza e passione per il Giappone, Paese-cuore cui aveva già dedicato tre libri: il romanzo Doromizu (Mondadori, 2016), il saggio Svelare il Giappone (Giunti, 2020) e La via del Sol Levante (Idrovolante, 2017) che è a metà fra i due generi. Pertanto quest'appena pubblicato Rika (Idrovolante, 250 pp., 18 euro) chiude una quadrilogia ideale, che non s'articola sui sequel ma sull'intreccio di storie, sentimenti, sensibilità, modi di vita, visioni dell'avvenire e del passato il cui filo conduttore è il rapporto tra l'autore e il Paese d'elezione.
Esponente di quella ricca tradizione, non soltanto italiana, di diplomatici scrittori, Vattani è autore che incoraggia la lettura veloce, non vuol accattivare indugi tra i capoversi di una pagina ma indurre a spostarsi sempre un blocco più in là, un capitolo oltre e via così fino alla fine del libro. Se è possibile il paragone con la musica o il kendo (altre passioni dichiarate dell'autore), si ha a che fare non col virtuoso (o vanesio) solista di chitarra, ma con il ritmo del bassista o l'affondo - un colpo deciso, uno alla volta - dello shinai di bambù.
La storia di Rika è semplice e complessa: semplice per l'ineluttabile somiglianza, e lo squallore, con cui si declina ogni violenza sulle donne; complessa perché la prima metà del romanzo è delicata miniatura di quest'eroina involontaria, del suo mondo, dei conflitti, delle sue minutissime aspettative (quando le riparano lo scooter, se lei piacerà di più o di meno con le sopracciglia rasate). E delle aspettative troppo vaste riguardanti la vita, la sua che è questo mare messo avanti allo sguardo e con troppe linee d'ombra, o all'indietro è il passato con i ricordi del padre, dall'assenza fatti più remoti ma sempre di imminente riemersione. O al presente è lo scabro rapporto con la madre, la quale apprende solo dopo, nelle pagine conclusive e attraverso dolorosa catarsi, a meglio amare la figlia.
E' questa la volta che Vattani mette assieme, nello stesso libro, i propri luoghi: Roma e Tokyo. E forse è vero che ciò si possa fare più facilmente tramite la narrativa, anche scegliendo - non facilmente - un io narrante femminile e trovando alla fine una morale che dia il senso a tutto. E' quella per cui l'autore dedica il libro alla figlia: la morale del coraggio che si ritrova, per esempio, nel trattato classico nipponico Hagakure e che ciascuna donna, anche se come Rika non lo sa, si porta in tasca assieme alle paure e la fa vincere all'ultimo metro. Perché alla violenza non ci si arrende mai.
Perciò è felice conseguenza, e non è spoiler, che questo libro termini assai più lieto di come cominciava.