“Mi associo, senza indugio” alla richiesta di “sconvolgere i palinsesti offrendo agli italiani l’opportunità di crescere culturalmente con la programmazione di grandi film e concerti di musica classica, jazz, pop, documentari, danza, prosa, poesia…”. In una lettera aperta al quotidiano La Stampa il presidente della Rai Marcello Foa si dice pronto ad accogliere la richiesta avanzata da Renzo Arbore circa la vocazione “artistica» della Tv, col pensiero rivolto a generazioni di ventenni che non conoscono il nostro patrimonio cinematografico, teatrale e musicale” e dal regista Pupi Avati, che ha confessato “di vivere questo tempo sospeso ‘con gli occhi chiusi, in attesa di poterli riaprire’” in questa fase di emergenza da Covide-19. E ad Arbore, che esorta a “inventare una tv made in Italy, non copiata da quelle straniere” il presidente di viale Mazzini risponde: “Ci sto, accolgo questi appelli”.
Ma Foa precisa anche, senza nulla togliere alle “iniziative messe in campo dalle reti e in particolare dal direttore di Rai Cultura, Silvia Calandrelli”, che “la Rai fa già tanta cultura alla radio e in televisione” e “sono convinto che si possa e si debba fare di più. Ma nei modi e nei tempi appropriati”. Secondo Foa, infatti, “bisogna strutturare un percorso, trovare un equilibrio tra le diverse sensibilità culturali. Se si cedesse all’improvvisazione, il risultato non sarebbe quello atteso, forse risulterebbe addirittura antitetico rispetto a una pur lodevole intenzione”.
Poi il presidente della Rai passa in rassegna ciò che già la Rai fa rete per rete e si dice convinto che la cultura non può essere “circoscritta a reti dedicate”, ma deve attraversare “tutta la produzione Rai attraverso una sensibilità diffusa e la consapevolezza di fare ‘servizio pubblico’ avendo cura di ogni fascia di età e ceto sociale, di ogni orientamento culturale, di tutte le categorie del lavoro e dell’economia, con un’attenzione speciale verso la popolazione più fragile e più debole”. Cioè “la più fragile e più debole. La cultura non può chiudersi in torri d’avorio” e così maestri del cinema italiano “come Pupi Avati, i cultori della canzone italiana come Arbore e, aggiungerei, i giornalisti che hanno saputo divulgare la storia italiana come Montanelli, Cervi e Gervaso, ci hanno insegnato a servire il Paese usando un linguaggio semplice in grado di elevare la conoscenza e le coscienze”.
Quindi Cultura “è anche raccontare il lavoro di scienziati, medici e ricercatori, così come rilanciare l’aspirazione a una maggiore spiritualità attraverso le immagini di impatto storico del Pontefice che impartisce l’indulgenza plenaria in una Piazza San Pietro deserta e l’ascolto della Messa del Santo Padre da Santa Marta su Rai1 ogni mattina alle 7” scrive Foa, perché quel che sta emergendo in questi giorni di clausura forzata “è un bisogno di autenticità e di riscoperta delle nostre radici, dei nostri valori più profondi, di quella straordinaria eccezione nella storia dell’umanità chiamata Italia, e di cui la Rai dovrà essere interprete, specchio e al contempo vettore verso un futuro, davvero e finalmente, di felicità” conclude il presidente Rai.