G iocare la carta della diplomazia culturale: è quello che l’Italia deve fare in Cina, da cui nel 2016 sono arrivati 1,6 milioni di turisti, e che con la Via della Seta sta cambiando l’Eurasia. “I cinesi ci riconoscono come superpotenza della cultura”, dice in una intervista all’AGI Francesco Rutelli, coordinatore del Forum Culturale Italia-Cina. Un nuovo progetto si chiama gemellaggio tra Siti Unesco, ed è appena iniziato con Verona e Hangzhou. Un disegno promosso dal Forum e fortemente voluto dai presidenti dei due Paesi, Sergio Mattarella e Xi Jinping. “Non siamo una potenza militare ma abbiamo un ruolo importante come europei: agli occhi dei cinesi siamo una potenza culturale”, ha aggiunto Rutelli, ex sindaco di Roma, ex ministro dei Beni Culturali.
A Venezia, il 19 gennaio scorso, dopo il vertice Ue-Cina sul turismo che ha sollevato un polverone per la mancata partecipazione dei ministri, si è invece riunito il Forum Culturale Italia-Cina. Tra i temi al centro della riunione, presieduta da Francesco Rutelli per la parte italiana e Zheng Hao, vice ministro della Cultura, per quella cinese: cinema, musei, mostre, teatro e - ovviamente - turismo. Un’occasione, dice Rutelli, “fruttuosa e concreta”.
Creato nel giugno del 2016, il Forum è stato lanciato nel febbraio dello scorso anno, in occasione della visita di Mattarella a Pechino. “Ho accettato con entusiasmo l’incarico, che svolgo a titolo gratuito” ricorda Rutelli. “La diplomazia culturale ha un peso determinante nella bilancia economica e commerciale perché sostiene i nostri settori produttivi e l’interscambio commerciale”. Rutelli conosce bene la Cina, l’ha studiata in profondità. In passato ha avuto frequenti contatti con la China Public Diplomacy Association, l’organizzazione che promuove gli strumenti di diplomazia pubblica e culturale di Pechino.
Romeo e Giulietta come un classico cinese
“La politica di collaborazione italo-cinese sui rispettivi siti Unesco è un tema al quale Paolo Gentiloni e Xi Jinping hanno dato un fortissimo impulso” dice Rutelli. L’Italia è il primo Paese al mondo per numero di siti, segue la Cina al secondo. “Il gemellaggio deve però avere anche implicazioni economiche”. Come? “Prendendo spunto dalle similitudini tra i territori, favorire collaborazioni tra i tessuti produttivi”.
Cosa accomuna la città scaligera con la città nel sud della Cina che nel 2016 ospitò il G20? L’amore eterno: “Romeo e Giulietta” e il classico cinese del 1600 “La storia di Liang Shanbo e Zhu Yingtai di Hangzhou”, che come la tragedia shakesperiana racconta il dramma di due innamorati. Un'altra similitudine con Verona? Hangzhou, sede del gigante dell’e-commerce Alibaba e di molte aziende dell’hi-tech, affaccia sul Lago dell’Ovest; Verona è attraversata dall’Adige ma guarda anche al lago di Garda. Certo: Hangzhou ha 12 milioni di abitanti, la provincia di Verona non arriva a un milione. Ma sulle dimensioni – si sa – la Cina è sempre un gigante.
I cinesi sono arrivati. Ora la palla passa a chi amministra il territorio: la presenza del sindaco di Verona di Fondazione Cariverona fa ben sperare. "Il governo cinese - assicura Rutelli - è stato felicissimo di questo gemellaggio. Verona non significa solo la bellezza della città romana, medievale, rinascimentale, l’Arena, ma anche un importante hub agroalimentare e vinicolo (ha qui sede Vinitaly). Potenzialità altissime anche per la promozione turistica: l’Italia sta cercando di diversificare le destinazioni, non concentrarle solo nelle quattro città principali - Roma, Firenze, Venezia, Milano - ma nell’intero territorio italiano”. Il prossimo gemellaggio? Riguarderà Langhe, Roero e Monferrato, dove ha sede la Ferrero, “altri siti straordinari e produttivi, soprattutto per il vino, il tartufo, i prodotti agricoli”. Qui si pensa di sfruttare la similitudine tra i terrazzamenti vinicoli baroli e le terrazze di riso cinesi costruite dall’etnia Han nella provincia dello Yunnan. Paesaggio e opportunità di sviluppo.
“La Cina sa benissimo che il turismo non deve essere un elemento di soffocamento dei centri storici “, ha detto il vicepresidente dell'Amministrazione nazionale del turismo Du Jiang, dopo aver confessato di essere rimasto stregato dalla bellezza di Venezia, passeggiando tra le calli in giorni di minore pressione turistica. “Un’affermazione che mi ha colpito molto - spiega Rutelli - perché dobbiamo dotarci di forme di regolazione e di accesso, leggere e non poliziesche, ma efficaci”.
“Dal Cervino ad Agrigento, possiamo accogliere i visitatori in migliaia di borghi, di città piccole e grandi ”. Insomma, il messaggio è chiaro: “Attrezziamoci di fronte all’imminente arrivo della leva turistica da Oriente”. Quanti saranno? “Nei prossimi decenni aspettiamoci una ondata di 900 milioni di turisti cinesi e dell’Estremo Oriente, molti di questi viaggeranno in Asia e nel Pacifico, ma una quota enorme sarà diretta verso l’Europa”. Rutelli ha le idee chiare: “Dobbiamo abbandonare il turismo mordi e fuggi, progettare con le controparti, e i cinesi sono aperti, pluralismo dell’offerta, strutture e logistica moderne”.
I cinesi hanno poi chiesto a più riprese di collaborare con i carabinieri italiani per combattere il traffico illecito dei patrimoni culturali. “Sono ansiosi di arrivare a una firma entro il 2018. I nostri militari dell’Arma sono bravissimi a tracciare i traffici illeciti e nella formazione di tecnici del settore”.
Insieme sul cinema
Sul tavolo molti i progetti che riguardano anche cinema e audiovisivo. È stata presentata una partnership tra Anica, di cui lo stesso Rutelli è presidente, e il Politecnico di Milano per creare una piattaforma al servizio degli operatori italiani. Massima espansione nel mercato cinese, sfruttando la crescita delle sale, con l’avvio di nuovi progetti di coproduzione e occhio alle piattaforme web. Non meno importanti, le collaborazioni tra teatro, lirica e il programma di grandi mostre in Italia e in Cina.
L’Italia in passato ha faticato a esprimere una strategia nei confronti della Cina, è mancato un coordinamento tra diplomazia e imprese, non c’è stata capacità di fare sistema, ma di recente i rapporti bilaterali sembrano entrati in una nuova fase. “Nel corso degli ultimi decenni, l’Italia ha avuto sulla scena internazionale meno protezione dei propri interessi e una ridotta visione strategica rispetto ad altri Paesi, come la Francia. La colpa del sostegno discontinuo in molte aree emergenti, il debole raccordo con visione geopolitica e attività di intelligence, va ricercata certamente nella breve durata dei governi: il furibondo e frenetico ricambio politico, il dover ricominciare sempre, non ha di certo aiutato. Per fortuna possiamo contare su tecnostrutture importanti e qualificate alla Farnesina e al MISE-ICE”. La strategia nei confronti della Cina è dunque cambiata.
“Gentiloni è stato un ministro degli Esteri attento, ha chiesto al suo capo di gabinetto, Ettore Sequi, di assumere l’incarico di ambasciatore italiano a Pechino, dove è molto apprezzato. Grande punto di riferimento anche il direttore generale per la promozione del Sistema Paese, Vincenzo De Luca. Finalmente gli strumenti di soft power non sono più considerati fuori dal realismo politico”, conclude Rutelli.