L ui alla fine ironizzava: “E’ un’antica tradizione scandinava: mi nominano per il premio poi lo danno a un altro. Ormai tutto ciò è una specie di rito”. Lo scrittore argentino Jorge Luis Borges s'era fatta una ragione, o una rassegnazione, della mancata attribuzione del Nobel cui tutti gli anni sembrava sempre vicino.
Perché non glielo diedero? Alla domanda, che incuriosisce da decenni qualsiasi lettore di Borges (specie se non abbastanza borgesiano) c’è finalmente risposta: l’Accademia di Svezia ha desecretato i documenti relativi al Nobel per la Letteratura del 1967, anno in cui l’argentino – con l'inglese Graham Greene - pareva il candidato più probabile per il riconoscimento, che invece fu assegnato al poeta guatemalteco Miguel Angel Ásturias. L’apodittico giudizio di diniego fu del presidente pro tempore del Comitato del premio, Anders Osterling: Borges? “E’ troppo esclusivo o artificiale nella sua ingegnosa arte in miniatura”. L’affermazione può far sorridere o irritare, ma si commenta da sé né la commenta il quotidiano argentino Clarín, che riprende la documentazione sul Nobel ’67 dal giornale svedese 'Svenska Dagbladet'.
"Di Maradona ditelo a Stoccolma"
Troppo colto per il Nobel. Se ne rendeva perfettamente conto – lo racconta Roberto Alifano in 'El humor de Borges' - perché quando qualcuno gli gridò per strada a Buenos Aires: “Sei più grande di Maradona!” lui commentò: “Sarebbe bene che lo gridassero a Stoccolma: forse potrebbe influire sugli accademici svedesi affinché mi concedano il premio Nobel”. El Español ricorda quanto l’autoironia fosse sua dote tipica (ancorché anomala fra gli scrittori). A un’enfatica ammiratrice che gli baciava le mani esclamando “Lei è immortale!” sorrise: “Ma la prego, non c’è ragione di essere così pessimista”. Si schermiva da chi lo qualificava geniale (intuendo forse la futura inflazione dell'aggettivo) e si autogratificò piuttosto con l’attributo di “grande plagiatore”, divertendosi molto quando lo confondevano con Ernesto Sabato.
Fino alla morte nel 1986, il nome di Borges, come sarebbe poi avvenuto per Philip Roth, restò puntuale nella lista dei candidati senza Nobel, suscitando svariate illazioni di cui quella che prese più corpo ebbe carattere meno letterario che politico. L’ipotesi accreditata ha motivato il mancato premio con “la visita” fatta da Borges nel 1976 al dittatore cileno Augusto Pinochet. Lo scrittore svedese Artur Lundkvist, che sarebbe diventato segretario dell’Accademia di Svezia e fu studioso di letteratura latinoamericana, affermò in una intervista che non si sarebbe mai potuto premiare qualcuno che avesse avuto rapporti con Pinochet.
Inutile, ormai, rammaricarsi del mancato Nobel a Borges, inutile anche la dichiarazione della vedova María Kodama, la quale ricordò ancora nel 2016 che lui “non fu invitato da Pinochet, ma dall’Università del Cile”, anche se fu il generale in persona a consegnare allo scrittore la laurea honoris causa. Borges ricambiò la gentilezza elogiando certe affabilità di Pinochet. Per la Kodama però “la gente è assai perversa, perché quando un uomo come lui riceve un dottorato, il protocollo prevede che ci vada il presidente del Paese”. Eppure la motivazione politica, benché forzata quando si confonda la mera etichetta con l'adesione, pare più accettabile per un "no" al Nobel rispetto alla motivazione letteraria, se consiste in quel giudizio del ’67 di cui oggi è data contezza.