O ccorre avere il coraggio di cambiare. è necessaria la spinta di iniziative creative e lungimiranti per muovere le cose, serve il coraggio di rischiare di sbagliare. Questo, ci dice il Faust di Goethe, è il prezzo che deve pagare l'uomo se cerca qualcosa di più e quindi "solo se sbagliamo siamo veramente noi stessi". E dalla capacità di riconoscere serenamente gli errori può nascere la spinta giusta a evolvere dalla specie-madre secondo il moto incessante del progresso umano. Ecco in sintesi il messaggio contenuto nell'ultimo libro di Igor Sibaldi "La Specie Nuova " (ROI Edizioni).
Sollecitato dall'AGI a esprimere alcune considerazioni sul suo ultimo lavoro, l'autore non condanna la tecnologia che produce innovazione quanto piuttosto la tendenza ad accontentarsi per forza, la riluttanza a conoscere se stessi... condizioni che poi creano il servilismo. E tende anche la mano ai ragazzi 'bacchettando' i genitori, la generazione degli anni Sessanta che "ha solo perso occasioni e deve mettersi al servizio dei giovani". Nel libro, una lettura piacevole e scorrevole, ci sono riferimenti storici e biblici, ricchi di interpretazioni originali che stimolano la riflessione, arricchiti da pungenti considerazioni sul mondo di oggi.
Gli italiani non sono stati mai così rassegnati
"Personalmente non ricordo che gli italiani siano mai stati così quieti, docili, rassegnati, tanto da fare pensare a una vera depressione di massa", scrive l'autore. Un neo-darwinista affermerebbe che questa "accidia italiana" dimostrerebbe che una qualsiasi forma di evoluzione potrebbe avvenire solo in tempi molto lunghi, addirittura secoli. Ma "proprio l'inerzia della maggioranza della popolazione fa pensare che questa sia una specie-madre accanto alla quale si stia formando una specie-figlia in grado di cercare altre vie". È un auspicio? Sembrerebbe di sì, se si considera l'importanza che Igor Sibaldi conferisce a un processo evolutivo che indica come speciazione culturale, una sorta di 'gemmazione' prodotta nel corpo di una "specie" storicamente consolidata.
I riferimenti a noè, Mosè e Gesù
Igor Sibaldi offre una visione nuova e stimolante tra le diverse teorie evoluzionistiche, dal darwinismo al neo-darwinismo, che cercano di descrivere la presenza, l'effetto e i tempi delle spinte al cambiamento che si producono all'interno di un corpo bio-sociale, di una società umana, di una cultura. La descrizione che ne fa il filosofo, scrittore e regista, studioso di teologia, filologia e di Sacre Scritture ebraiche e paleocristiane, è corredata da riferimenti a figure mitiche e storiche quali forme di speciazione che hanno saputo provocare con le loro scelte e con il loro insegnamento. Noè, Mosè e Gesù sono i riferimenti più citati, attraverso un'interpretazione originale del ruolo svolto nel determinare processi evolutivi che hanno segnato lo sfaldamento della specie di origine (specie-madre) a favore di una nuova specie (specie-figlia) che ha addirittura cambiato il mondo. Nel libro non mancano anche riferimenti biblici ad Abramo (e alla schiava Agar) e a Giuseppe Egizio come autori di forme di speciazione di portata epocale. Si tratta comunque di iniziative individuali. Ma i processi di formazione di nuove specie possono nascere da pulsioni collettive e dall'azione di gruppi che vogliono aprirsi o gestire il nuovo.
La grande migrazione degli italiani
La grande migrazione degli italiani verso gli Stati Uniti negli anni seguenti alla formazione dell'Unità nazionale viene interpretata da Sibaldi come una forma di evoluzione della popolazione oppressa dall'unificazione forzata, mediante la nascita di una nuova specie, con caratteristiche tutte proprie, ben distinta dalla specie-madre ma non del tutto integrata nell'ambiente di accoglienza. Nel mondo occidentale nel quale viviamo, le forme di speciazione culturale che possono dar vita a evoluzioni nel senso descritto sembrano essere ostacolate dalla diffusione delle tecnologie e dalle forme di gestione politica ed economica che realizzano un letto comodo sul quale adagiarsi e sopravvivere e tutto questo tende a ostacolare la speciazione culturale.
Intervista a Igor Sibaldi
Come può evolvere una nuova specie nel mondo occidentale iper tecnologico e quindi tendente all'omologazione generale?
"Non penso che l'ipertecnologizzazione conduca all'omologazione generale. Al contrario, la maggioranza della gente era molto più omologata ai tempi in cui non esistevano le lavatrici o i frigoriferi: quante persone non abbienti dovevano necessariamente dedicare ore e ore al bucato, o alla cucina quotidiana, facendo ogni giorno serie di gesti identici! Ogni progresso tecnologico porta a un aumento di tempo libero, durante il quale pensare, ripensare e aumentare così il numero di alternative per ogni scelta che bisogna affrontare. Con internet il tempo libero ha avuto un aumento addirittura esponenziale: posso consultare volumi di cinque secoli fa senza spostarmi da casa e senza alcun costo. A tener conto di ciò, il periodo attuale sarebbe particolarmente favorevole a quella che io chiamo la speciazione culturale, cioè il prodursi di esigenze nuove e, parallelamente, di una minore capacità di rassegnarsi alle condizioni in cui si vive. Quando questa capacità di rassegnarsi scende sotto un certo livello, si comincia a diventare diversi, a non sentirsi più compatibili con quelli che fino a poco prima erano i propri simili, e allora prende forma una nuova specie. Ciò che ostacola tale fenomeno, oggi come in ogni altro secolo, sono certi stati d'animo: la ricerca della contentezza, (dell'accontentarsi per forza), la paura di accorgersi, la riluttanza a conoscere se stessi, la convinzione di non meritare di più - con tutte le inerzie e le tendenze servili che ne conseguono".
Ma le spinte verso l'innovazione possono nascere da azioni individuali o di gruppo.
"Ci sono due forme di innovazione culturale: una è determinata dalla paura e l'altra dal desiderio. La prima è sempre dovuta a qualche gruppo di potere che impone certi comportamenti, e punisce chi non si adegua: il folle antisemitismo tedesco di ottant'anni fa fu un'innovazione di questo genere. L'altro tipo di innovazione culturale è invece il risultato del diffondersi di esigenze individuali: uno desidera una cosa che ancora non c'è, comincia a farsi da fare per scoprirla o crearla, e solo allora si accorge che anche altri la desiderano e hanno cominciato a darsi da fare per scoprirla o crearla - mentre se un desiderio è solo individuale, cioè segreto, rimane solo un'aspirazione personale. Questo secondo tipo di innovazione culturale è, naturalmente, più raro, essendo più rischioso del primo".
Leggendo il libro viene spontaneo porsi una domanda: gli italiani hanno il coraggio di cambiare o sono ormai preda dell'accidia? C'è una speranza?
"L'Italia, dal 1870 in poi, ha accumulato pesanti traumi: una Terza Guerra d'Indipendenza disastrosa, una politica sociale feroce, la partecipazione alla Prima Guerra Mondiale (con uno scandaloso cambio di alleanze nel 1914), il fascismo, il sostegno a Hitler, una disastrosa Seconda Guerra Mondiale (con un umiliante cambio di alleanze nel 1943), l'abilità della mafia, il rapido esaurirsi del Sessantotto, la lunga stagione del terrorismo, il crollo del senso estetico a partire dagli anni Ottanta e una serie di gravi delusioni politiche a partire dagli anni Novanta. Se dovessimo personificare l'Italia, avremmo inevitabilmente l'immagine di una persona depressa, figlia di depressi. Ma per fortuna gli italiani sono meno italiani, oggi, di quanto non lo fossero i loro genitori o i loro nonni: moltissime persone nate e cresciute in Italia sentono di appartenere non a un Paese ma all'umanità intera. Proprio come i loro bisnonni, quando, tra il 1895 e il 1915, quattordici milioni di italiani partirono verso le Americhe, dando forma alla nuova specie culturale degli italo-americani".
E i giovani di oggi?
"Mai giudicare i giovani! Non se ne hanno ancora gli elementi sufficienti: i giovani cambiano rapidamente e con le tante novità che si stanno profilando nel mondo, è probabile che i giovani d'oggi cambino ancora più in fretta, e più volte.
Che giudizio dare e che ruolo abbiamo noi genitori degli anni Sessanta che non siamo riusciti a costruire qualcosa di solido per loro costretti a fuggire all'estero in cerca di un riscatto post laurea?
"La generazione degli anni Cinquanta e Sessanta merita invece un giudizio molto severo: nel complesso, si è adeguata troppo alle esigenze della generazione precedente, per l'unica ragione che così era più comodo, più prudente. Potrebbe ancora fare qualcosa di grande, a una sola condizione: rinunciando al proprio ruolo genitoriale e cominciando a imparare dai giovani e dai giovanissimi. Si tratterebbe proprio di dire a chi ha meno di vent'anni: noi non abbiamo niente di interessante da insegnarvi, se non il modo in cui abbiamo perso occasioni e abbiamo lasciato in sospeso problemi urgenti. Diteci voi cosa pensate davvero, cosa volete davvero, e ci metteremo al vostro servizio, con tutte le risorse di cui disponiamo. Sono sicuro che molti genitori -se avessero questa idea, ne proverebbero gioia. E d'altronde non è necessario che molti altri lo facciano, perchè ci venga il coraggio di farlo anche noi: ognuno potrebbe cominciare oggi stesso, a casa propria".