d i Francesco Palmieri - @PalmierF
Roma - Torna ad avere un volto il Buddha del settimo secolo di Jahanabad, nella valle pachistana dello Swat, distrutto dagli esplosivi dei talebani nel settembre 2007. Il recupero di una tra le più grandi sculture asiatiche scolpite nella roccia, la cui devastazione suscitò sconcerto nel mondo, è frutto del lavoro di una equipe di archeologi italiani, che hanno appena portato a compimento l'operazione.
"L'intervento sul Buddha cominiciò nel 2012 ed è terminato dopo cinque campagne di lavoro nell'ottobre di quest'anno, con il finanziamento del progetto 'ACT' del Pakistan Italian Debt Swap Agreement", dichiara all'Agi Luca Maria Olivieri, romano, 54 anni, direttore della Missione Archeologica Italiana dell'ISMEO (Associazione Internazionale di Studi sul Mediterraneo e l'Oriente), che ha compiuto sessanta anni di continua attività nello Swat, il distretto settentrionale del Pakistan noto alla storia come Uddiyana, e che ancora conserva tracce del passaggio di Alessandro Magno.
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Olivieri ha svolto il lavoro con maestranze locali e l'apporto di esperti del Directorate of Archaeology della provincia del Khyber-Pakhtunkhwa e dell'Università di Padova. Inizialmente il lavoro si concentrò sulla messa in sicurezza delle parti danneggiate del Buddha (il volto, le spalle, la sommità della roccia, eccetera). "Quindi - prosegue Olivieri - si è proceduto a una completa documentazione in 3D, che ha integrato la documentazione fotografica ante-2007. Si è infine arrivati a un risarcimento dei volumi mancanti utilizzando, quando possibile, frammenti di distacco".
Intorno al Buddha, nella roccia stessa ci sono anche cavità naturali usate come romitaggi, come rivelano tracce di pitture. Alla base del pendio si trovano i resti di un grande monastero in rovina oggi nascosto da terrazzi agricoli coltivati a kaki. "Da qui parte una scalinata monumentale, che era - racconta ancora Olivieri - il sentiero di accesso principale, che raggiunge un laghetto artificiale alimentato da una sorgente e infine la roccia del Buddha. Sulla cima della roccia ci sono i resti di uno stupa, un reliquiario buddhista, ormai quasi scomparso".
"Nella zona, nel villaggio di Maglawar/Mangalaor si trovava un tempio fondato dal re Indrabhuti, dove c'erano molte immagini di pietra del Buddha, Tara e Avalokitesvara. La valle dello Swat fu meta dei pellegrini cinesi e tibetani dal quinto secolo fino all'età moderna, come mitica terra di Uddiyana, la patria del re Indrabhuti e di Padmasambhava, Guru Rimpoche, che portò il Buddhismo Vajrayana dallo Swat al Tibet", aggiunge Olivieri.
Il sito di Jahanabad, attaccato dai talebani, era un grande santuario buddhista certamente attivo prima del settimo-ottavo secolo, quando il grande Buddha fu scolpito sulla roccia.
"Intorno alla parete di gneiss granitico - continua il direttore della Missione Italiana - ci sono altre significative testimonianze del culto buddhista, come tre iscrizioni monumentali in caratteri Brahmi-Sarada incise sulla roccia. Ne riporto qui di seguito a memoria una sommaria traduzione.
La prima recita più o meno: 'Transeunti sono le parti dell'essere la cui natura è nascita e deperimento. Come sono prodotte, vengono dissolte: benedetta è la loro estinzionè.
La seconda e la terza sono dal Dhammapada: 'Per non commettere alcun male e acquisire merito - insegna il Buddha - purifica la tua mentè, e quindi: 'Controlla parola e mente, non commettere del male col il corpo. Mantieni queste tre regole e seguirai il sentiero tracciato dai Saggì".
Nei pressi delle iscrizioni, lungo un percorso secondario che da oriente saliva verso il Buddha, si trovava anche un grande masso scolpito con un bodhisattva (Padmapani o Avalokitesvara). "Purtroppo, anche questo fu fatto saltare nel settembre del 2007 insieme al Buddha. Fortunatamente - conclude Olivieri - la Missione Archeologica Italiana è riuscita a recuperare tutti i frammenti della scultura e a ricomporla integralmente, e sarà presto ospitata nel Museo dello Swat".
Le sculture su roccia dello Swat, di cui quelle di Jahanabad sono un'importante ma minima parte, sono un patrimonio ricchissimo di informazioni iconografiche del tardo Buddhismo dello Swat. Le sculture sono state lungamente studiate dalla Missione Italiana sin dai tempi del fondatore, il sommo orientalista Giuseppe Tucci. Di recente Anna Filigenzi (dell'Università di Napoli L'Orientale) le ha pubblicate tutte in un volume monografico illustrato uscito per i tipi dell'Accademia delle Scienze austriaca (Art and Landscape, Wien 2015).