In occasione del 50° anniversario del 1968, Agi Agenzia Italia ha ricostruito l’archivio storico di quell’anno, recuperando il patrimonio di tutte le storiche agenzie italiane e internazionali, organizzando una mostra fotografica e multimediale che sarà allestita al Museo di Roma in Trastevere dal 5 maggio al 2 settembre 2018. Si chiama "Dreamers. 1968: come eravamo, come saremo”. Nel catalogo della mostra, i contributi di alcuni dei protagonisti e degli studiosi di quell'anno così fondamentale nella storia del Ventesimo secolo. Quello che segue è l'intervento di Lidia Ravera, giornalista e scrittrice.
È stato un parricidio simbolico, personale e collettivo. Ciascuno ha affrontato suo padre, sua madre e, con loro, tutta una generazione. Professori, intellettuali, professionisti, scrittori. Gente famosa. Tutti, simbolicamente, al muro. È stato come essere in prima linea. Adrenalina a mille, grande solidarietà con i “commilitanti”, senso di protagonismo e paura. Dolorose scaramucce in famiglia. La prima notte passata fuori casa (sedici anni, occupazione del liceo “Gioberti”), subisco mia madre, la mattina, in stato d’agitazione attorno all’intangibilità del corpo della figlia. L’imene a protezione del contratto matrimoniale, la sacra catena delle galere, dalla casa del padre alla casa del marito, l’abbiamo interrotta con un taglio netto. Viva la spericolata promiscuità! (pensata anche se non agita, desiderata, cantata, messa in prosa e in versi).
Ricordo perfettamente la fatica di quella rifondazione morale e culturale. I compagni erano un pubblico esigente per le nuove figure di danza richieste alle principianti. Dovevi essere bella al naturale, bella e nuda, esile stracciata sexy e tuttavia androgina. Senza la difesa del parrucchiere, senza l’eleganza del twin set, del tailleur, dovevi vestirti come un maschio o come il desiderio di un maschio (mi accorciavo l’orlo della gonna con gli spilli, nel buio dell’androne, prima di andare a scuola). Dovevi occuparti del mondo: le lotte dei neri americani , degli eroici vietnamiti, degli operai metalmeccanici. Dovevi saper leggere una busta paga, conoscere il “disagio linea”, il taglio dei tempi, come si stava alla verniciatura o alla catena di montaggio. Dovevi leggere Lenin e Marx. Studiare contro, non studiare e basta. L’intimità era sospetta, si viveva in gruppo, la verginità era sospetta, dovevi perderla ridendo. La gelosia era retrograda, sorpassata, per niente da compagni. Dovevi superarla, dovevi superare il senso ottuso della proprietà, mettere in comune tutto. Anche l’amore.
Eravamo oggetto di invidia (i giovani lo sono sempre, ma noi sembravamo intollerabilmente felici). L’invidia la potevi ricevere, ma non provarla. L’invidia era out. Un sentimento da piccolo borghesi. Semmai c’era licenza di odiare. Odio pulito, naturalmente, l’odio di classe, che, in fondo, era il motore della storia. O almeno così ci pareva.
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