In occasione del 50° anniversario del 1968, Agi Agenzia Italia ha ricostruito l’archivio storico di quell’anno, recuperando il patrimonio di tutte le storiche agenzie italiane e internazionali, organizzando una mostra fotografica e multimediale che sarà allestita al Museo di Roma in Trastevere dal 5 maggio al 2 settembre 2018. Si chiama "Dreamers. 1968: come eravamo, come saremo”. Nel catalogo della mostra, i contributi di alcuni dei protagonisti e degli studiosi di quell'anno così fondamentale nella storia del Ventesimo secolo. Quello che segue è l'intervento di Luciana Castellina.
Le celebrazioni storiche riguardano di solito guerre o paci, nascita o morte di qualche personaggio famoso, scoperte. Questa del Sessantotto è anomala, non c'è uno specifico evento che si potrebbe indicare, e nemmeno la sua data precisa, trattandosi di un tempo durato parecchio di più dell'anno che il numero indica. Quel 1968, infatti, si declina con una parola anziché con una cifra. Per indicare che non si tratta di un singolo accadimento, ma di qualcosa di più: di un tempo in cui una nuova generazione, in forme molto analoghe in tutti i continenti, si è mobilitata per rimettere in discussione il mondo che avevano ereditato. Non era mai accaduto, o forse solo, ma solo in Europa, nel mitico 1848.
Roma, manifestazione a Piazza Esedra dopo la morte di Martin Luther King, 6 aprile (AGI).
È stato detto che si trattò di una rivolta antiautoritaria, e certo lo fu. Ma non di una ribellione solo contro papà e prof toppo severi ed arroganti. Ognuno si sentì infatti frammento di un mondo che si stava muovendo contro ogni potere oppressivo, e per questo il detonatore fu il Vietnam. E icone del Sessantotto sono i bambini di quel paese bruciati dal napalm; i due atleti neri, Tony Smith e John Carlos, che, vincitori sul podio delle Olimpiadi a Città del Messico, salutano col pugno chiuso l'inno americano; le immagini dei grandi cortei che a Parigi, Roma, Berlino, ma anche Praga e Varsavia, chiedono che al posto del potere oppressivo vada l'immaginazione: il sogno di una libertà finalmente per tutti, senza di cui quella propria non vale niente. E anche le prime manifestazioni delle donne che portano allo scoperto la causa dell'oppressione del loro genere, e costringono anche gli uomini a guardare dentro se stessi per smantellare quanto delle regole del potere hanno introiettato. La politica acquista così una nuova dimensione: anche il personale diventa politico. Se in quegli anni nascono migliaia di "comuni" è perché si cerca uno spazio entro cui possa crescere un progetto di vita più ricco di senso, fondato su rapporti liberi e solidali, embrione della nuova società sognata.
Il Sessantotto è stato un tempo felice. Se parlate con un ex, vedrete che la sua memoria si colora di nostalgia. Perché è stato un tempo impegnato a uscire da se stessi, a scoprire l'altro da sé, a condividerne le sorti. E' stata la fine della solitudine che rende melanconica l'adolescenza.
Tutto questo si potrebbe riassumere dicendo: è stata la scoperta della politica, che quando è stata bella ha affascinato e reso felici milioni di persone. Se sulle magliette dei ragazzi di tutto il mondo comincia a comparire l'effige del Che è per via della sua sfida, perché è il simbolo di chi vuole essere soggetto politico, e non suddito.
Cosa resta oggi del Sessantotto? Questa mostra è stata promossa perché a rispondere all'interrogativo siano i giovani di oggi, non chi ne è stato protagonista. Certo, non potranno dire che "l'immaginazione è andata al potere". Purtroppo. Ma le rivoluzioni - e così anche il Sessantotto - servono anche se non vincono o finiscono male. Perché aiutano a pensare l'impensabile e dunque a non tenerci chiusi nella gabbia del presente. Che è comunque molto peggio.