"La violenza giovanile non ha genere", gli esperti si confrontano

Paola Spiezia
Science Photo Library / AGF 
- Violenza donne
AGI - “Il genere non esiste.” Paolo Crepet, psichiatra e sociologo, interviene nelle polemiche nate intorno al ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, accusato dall’opposizione di non considerare a sufficienza la questione di genere nelle sue misure contro la violenza giovanile. Per le iniziative del ministro, come i laboratori contro il bullismo, alcuni dei critici sostengono che l’educazione al rispetto debba affrontare il tema del “dominio maschile” come radice della violenza. Crepet, però, ritiene che un approccio del genere sia limitante. “La violenza è anche femminile, ridurre tutto alla cosiddetta questione di genere è una sciocchezza,” dice.
Anche Roberta Bruzzone, criminologa e psicologa forense, sostiene che la violenza giovanile non possa essere ridotta alla questione di genere. “Assolutamente corretto Crepet – commenta Bruzzone – non è un problema di genere, ma di personalità immature e distorte. Questo tipo di manifestazioni si possono scatenare in entrambi i sessi. Le dinamiche sono sempre le stesse: il problema è il tipo di personalità che non evolve, che non acquisisce strumenti di contenimento della rabbia e che sfoga questa mancanza sul piano comportamentale.”
Secondo Bruzzone, la radice del problema non risiede tanto nel genere quanto nell’educazione e nella “inconsistenza genitoriale”. “Questi sono ragazzi che crescono nella totale incapacità di imparare a gestire la frustrazione e la rabbia – spiega – e questo sfocia in condotte aggressive, sia nelle relazioni affettive che nella vita”.
A queste riflessioni si unisce anche Jacopo Coghe, portavoce di Pro Vita & Famiglia Onlus, che si oppone all’idea di inserire corsi di educazione affettiva nelle scuole italiane. “Simili esperimenti educativi anche in Europa dimostrano che ai ragazzi non servono né un’ora né trenta ore di ‘educazione affettiva’, ma il ritorno a una coraggiosa educazione morale, che riabiliti concetti oggettivi di bene e male, confini netti tra giusto e sbagliato,” sottolinea Coghe.
Per lui, è necessario restituire valore all’autorità, sia familiare che scolastica, in modo da costruire una base solida di responsabilità: “Senza questa solida base di natura morale, qualsiasi tentativo di educazione politica al rispetto altrui sarà sempre destinato a fallire perché privo di radici”. Coghe aggiunge che il fenomeno del “relativismo etico assoluto” diffuso tra i giovani contribuisce a modelli comportamentali negativi e non pone alcun freno all’imitazione di comportamenti estremi e problematici visti in rete.
Bruzzone concorda sulla necessità di un’educazione che insegni ai ragazzi a gestire emozioni come frustrazione e rabbia, evidenziando che “un ‘io’ fragile reagisce in modo eccessivo a qualsiasi frustrazione.
Alla domanda su come si possa promuovere un’educazione al rispetto che sia universale e condivisa da tutti gli studenti, Crepet suggerisce di partire da regole chiare e applicarle con coerenza. “Quando accade qualche evento violento all’interno delle scuole, bisogna adottare decisioni conseguenti a livello scolastico.” Per lo psichiatra, un sistema educativo efficace è quello che stabilisce e fa rispettare limiti concreti, coinvolgendo anche i ragazzi nel processo di comprensione delle regole.
Paolo Crepet 

Bruzzone ritiene che le proposte del ministro Valditara possano avere un impatto positivo, ma soprattutto sui ragazzi “sani”. “Per quelli già compromessi, difficilmente avranno un effetto – aggiunge – ma il vero problema non è tanto avere un impatto sui ragazzi, quanto sugli adulti che devono educarli. Se non partiamo da lì, temo che le soluzioni a breve termine siano davvero poche.”
Sia Crepet che Bruzzone sottolineano l’importanza dell’esempio dato dagli adulti, soprattutto dagli insegnanti. Crepet richiama l’attenzione sull’uso del linguaggio, facendo riferimento al caso di Christian Raimo, l’insegnante sospeso per tre mesi dopo aver attaccato Valditara in termini violenti . “Se cominciano pure gli insegnanti a essere violenti, poi sicuramente anche i ragazzi lo saranno. Dobbiamo dare l’esempio” osserva Crepet.
Agf - Roberta Bruzzone

Bruzzone concorda: “Un educatore non può arrivare a dire cose di questo tipo. Evidentemente c’è qualcosa che non quadra nel modo in cui questa persona ha elaborato il concetto. Il linguaggio è assolutamente inaccettabile in un contesto come questo, dove i ragazzi già tendono a prendere tutto troppo alla lettera. Una figura autorevole non può permettersi di lanciare messaggi
Daniele Novara, pedagogista e fondatore del Centro Psicopedagogico per la Pace e la Gestione dei Conflitti, arricchisce il dibattito sottolineando l’importanza della “competenza conflittuale” nei giovani. Secondo Novara, il problema non è tanto legato alla questione di genere quanto alla capacità, o meglio alla mancanza, di gestire i conflitti. “Le ricerche che ho condotto mi hanno portato a scoprire che c’è una correlazione significativa tra quella che definiamo ‘carenza conflittuale’ e la tendenza a risolvere i problemi eliminando l’altro,” spiega Novara.
Questa “carenza conflittuale,” secondo Novara, porta molti giovani a reagire in modo estremo quando affrontano divergenze relazionali, sfociando talvolta in comportamenti di autolesionismo o violenza verso gli altri. “Per superare questa situazione – conclude – è essenziale che le nuove generazioni imparino a gestire i conflitti come parte del loro sviluppo personale.”
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