AGI - Splende il sole sulla piazza di Cogne, piena di turisti e alpinisti come se fosse un qualsiasi weekend di fine agosto. In fondo alla grande prateria di Sant’Orso, come sempre, incanta gli occhi la sfavillante quinta delle cime del Gran Paradiso, con i ghiacciai ancora piuttosto estesi per essere la fine di un’estate caldissima. A guardare la situazione da cartolina, non sembra possibile che solo due mesi fa questo posto di grande attrazione turistica sia rimasto isolato dal mondo in seguito all’alluvione che non ha risparmiato boschi e infrastrutture, case e strade, spazzando via in pochissime ore di furia degli elementi secoli di opere della natura e di costruzioni umane. “Abbiamo fatto i conti una volta di più con la nostra fragilità nei confronti della natura, che in pochissimo tempo ha sconvolto un intero territorio”, dice all’AGI a due mesi da quella terribile notte il sindaco di Cogne, Franco Allera. Nel suo ufficio con finestra sul Pousset, una delle cime che contornano il paese, ricostruisce l’insieme di circostanze che hanno permesso di evitare un possibile bilancio tragico anche per le vite umane.
Per prima cosa, nel fine settimana fra il 29 e il 30 giugno “la vera stagione turistica non era ancora incominciata”, e oltre ai 1.380 residenti, a Cogne c’erano meno di 2000 ospiti provenienti da fuori (in piena estate, fra luglio e agosto, si arriva a decuplicare il numero di abitanti, con circa 12 mila presenze). Ancora, “l’allarme dal sistema di monitoraggio delle frane è arrivato sabato sera attorno alle 20, e le prime esondazioni sono avvenute a partire da mezz’ora dopo. C’è stato dunque il tempo di decidere e attuare in tempi rapidi, prima del calare della notte, l’evacuazione delle due aree a maggiore rischio: il campeggio Gran Paradiso di Valnontey e l’area camper di Cogne”. Da alcune ore sull’area si erano abbattute piogge violente e temporali, in seguito al forte rialzo delle temperature che aveva portato nei giorni precedenti lo “zero termico” sopra quota 4.500 metri, provocando quindi anche il repentino scioglimento della neve che quest’anno è caduta abbondante in primavera. Subito dopo i primi allarmi, dalle montagne sono scese frane di sassi e terra che hanno travolto i boschi e colmato i torrenti Valnontey e Grauson, provocando ondate di piena che hanno distrutto ponti, strade, e tutti i collegamenti, stradali, idraulici e anche quelli delle fibre per le telecomunicazioni. “Alle 2 di quella notte era finito tutto, e la domenica mattina il sole è tornato a illuminare il Gran Paradiso”, ricorda Allera, “ma Cogne era completamente isolata, senza strade, senza telefoni, senz’acqua. Abbiamo potuto comunicare con la Protezione civile solo attraverso il telefono cellulare di un privato con un sistema di emergenza che gli ha permesso di collegarsi al sistema analogico. Per un caso, Omnitel non aveva eliminato quelle vecchia rete che ha così sostituito il segnale digitale”.
Superato il primo choc, è cominciata la parte più “mediatica” del dopo-disastro: il su e giù degli elicotteri che hanno trasportato le persone a fondo valle, in mancanza di altri collegamenti possibili: “Siamo riusciti a evacuare 1.800 persone, con un numero notevole di viaggi visto che ogni volta su un elicottero possono salire 4 o 5 persone, utilizzandone fino a 8 contemporaneamente, con un grande sforzo di organizzazione. Abbiamo fatto un ottimo lavoro di squadra, collaborando con le istituzioni coinvolte e cercando di venire incontro a tutte le esigenze. Abbiamo anche avuto il contributo di tanti volontari, soprattutto giovani, che abbiamo impiegato soprattutto nel ripristino dei sentieri del Parco”. Le polemiche sulla possibilità di trasportare i turisti in elicottero, una boutade della ministra Daniela Santanchè, non hanno fatto dimenticare il primo obiettivo: rimettere in funzione la strada regionale 47, che collega il fondovalle a Cogne circa 26 chilometri di curve. La valle che porta al paese è tortuosa e strettissima e infatti per secoli la via di accesso era un’altra, molto più lunga, attraverso il vallone di Champorcher. Dal secolo scorso, la strada che parte da Aymavilles corre lungo ripide e incombenti pareti di boschi e pietre, fino ad arrivare alla frazione di Cretaz, a un chilometro dal “capoluogo”, quando si allarga nel grande prato di Sant’Orso che fa parte del Parco Nazionale del Gran Paradiso. Lungo il suo percorso, la strada è in parte protetta da alcuni paravalanghe di cemento, e già più volte negli scorsi decenni ha avuto problemi, interruzioni e cedimenti, soprattutto all’altezza dei ponti che attraversano il fiume Grand Eyvia che scorre sul fondo.
Nelle settimane successive a quest’ultima alluvione, l’impegno di decine di mezzi e persone in azione 24 ore su 24 ha permesso di riaprire al traffico ordinario il 27 luglio, salvando almeno metà della stagione di accoglienza turistica, la principale fonte di ricchezza per il paese dopo la chiusura della miniera di ferro, alla fine degli anni ’70. Da venerdì 30 agosto, è poi stata anche aperta una variante che migliora ulteriormente la viabilità evitando le strettoie del senso unico alternato. “Quello che ha funzionato è stato il sistema – ha constatato Allera – il coordinamento di tutti, comune, regione, protezione civile nazionale e regionale, ente parco, guardie forestali. Ci sono ancora tantissimi problemi da risolvere, a partire da come reinventarci la Valnontey così pesantemente trasformata. Speriamo che anche nella fase 2 riusciremo ad essere efficaci come nell’emergenza”.